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Molestie nel mondo della moda: il mio parere personale riguardo il movimento #metoo

Molestie nel mondo della moda: il mio parere personale riguardo il movimento #metoo

#Metoo, un hashtag per dire “BASTA”!

Forse è meglio tacere, o forse no. Anche il mondo della moda al centro del dibattito #metoo, movimento femminista contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne diffuso in modo virale a partire dall’ottobre 2017 come hashtag usato sui social media per dimostrare la diffusione di violenza sessuale e molestie subite dalle donne soprattutto sul posto di lavoro. Anche se, ad oggi, è presente anche qualche caso di uomini molestati.

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Il primo ad essere stato attaccato duramente e denunciato da più donne per molestie sessuali è stato il noto produttore cinematografico Harvey Weinstein. Il fenomeno, forte del clamore e del successo suscitato, non si è fermato solo al mondo del cinema e ha continuato inesorabile la sua corsa, colpendo anche altri settori: musica, politica, giornalismo e sport.

#Metoo e la moda

Ed è arrivato anche nel mondo della moda. ‘Le modelle dovrebbero sapere a cosa stanno andando incontro quando scelgono questo mestiere’. ‘Se non vuoi che qualcuno ti tiri giù le mutandine, non fare la modella ma entra in un convento’. ‘Ci sarà sempre un posto per te nel convento, in questo periodo stanno pure reclutando’. Ha tagliato corto Karl Lagerfeld, l’ormai scomparso (purtroppo) direttore creativo di Chanel e Fendi, riguardo i casi di molestie che hanno colpito il mondo fashion.

Molti volti noti dell’ambiente sotto attacco, dai fotografi ai direttori creativi dei diversi brand e stylist. Chi ha ragione? Secondo il mio parere personale, se una donna dispone di solide basi morali va avanti per la sua strada. E ha tutti i diritti di dire “no” anche se ha scelto di fare la modella. Il rispetto reciproco è la prima regola per lavorare al meglio. In ogni caso io non denuncerei mai dopo anni, com’è accaduto dopo lo scandalo Weinstein: quello, per me, è solo un modo per cercare, talvolta, una visibilità perduta.

Se si prova reale sofferenza, se si sono subite violenze di qualsiasi natura, è impossibile tenersele dentro per anni. Questo è il mio modestissimo parere. La mia idea personale riguardo l’argomento. Non voglio rappresentare un giudice morale, ne tantomeno una vittima, fortunatamente non ho mai subito questo genere di molestie sul luogo di lavoro. Sarà fortuna o personalità forte, ma una cosa è certa: conosco il mio valore, so che posso farcela tranquillamente con le mie gambe.

Ho saputo dir di “no”

Ho saputo dir di “no” a tanti uomini che avrebbero voluto approfittarsene. I compromessi non fanno parte della mia visione del lavoro. Per altri colleghi forse non è così, ma non sta a me giudicare. La moda, per certi versi, vive di un’ipocrisia che l’ha sempre contraddistinta, notoriamente sorda alle preoccupazioni su misoginia, abusi sessuali e questioni legate alla salute come l’anoressia. I fotografi e gli altri addetti ai lavori della fashion industry denunciati, non hanno subito nessun rimprovero dall’ambiente (se non qualche eccezione).

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Al contrario, il sistema continua a sostenerli esattamente come prima. Nessun cambiamento quindi, se non una notorietà inevitabilmente sporcata dalla stampa mondiale. Nel bene e nel male, chi ha mosso queste critiche a favore del #myjobshouldnotincludeabuse si difende a pieno titolo dall’abuso di potere da parte di chi lo esercita nel modo sbagliato, facendo nomi e cognomi. “Il nostro è un lavoro, una mia foto in biancheria intima non è un invito nella mia camera da letto”. Essere etichettata “difficile” in questo ambiente, talora significherebbe essere allontanata dai set. A volte è un bene, perché a mio parere è più importante la dignità personale rispetto ad una campagna pubblicitaria, altre volte può compromettere seriamente le possibilità lavorative.

Quindi, che fare? Una decisione controversa, dettata anche da un mondo (quello del fashion) sordo a questo genere di tematiche. Il mio consiglio è farsi rispettare sempre e comunque, perché si traggono dei benefici, verso se stessi e verso gli altri. “L’industria della moda è circondata da predatori che non aspettano altro che insinuarsi nel senso di rifiuto e solitudine che la maggior parte di noi modelle ha provato nel corso della propria carriera”.

I social: uno spazio aperto dove poter raccontare le violenze subite

E questa affermazione è di una delle top model più famose di tutti i tempi, Christy Turlington … E Cameron Russell, supermodella statunitense, ha fatto molto di più: ha trasformato il suo account Instagram in uno spazio aperto alle modelle dove poter raccontare le molestie e le violenze subite in un contesto lavorativo. In forma anonima, senza ombra di spettacolarizzazione, con un grande rispetto per la privacy e la sensibilità di chi denuncia. Con la speranza che questo spiraglio di luce porti con sé altrettanta giustizia. Perché è ora di cambiare, immediatamente non tra vent’anni. Denunciate ORA.

Il mio parere personale riguardo le modalità di azione del movimento #metoo

#Metoo, inutile negarlo, ha sicuramente contribuito alla sensibilizzazione e al risveglio delle coscienze. Innanzitutto, ha dato vita ad una nuova consapevolezza del valore e del rispetto sul luogo di lavoro. Ed io ne sono favorevole. Ma talvolta, non sempre nelle modalità di azione. I media, soprattutto i social network e internet, contribuiscono alla promulgazione di odio che genera a sua volta odio, e così via. In breve, da una parte è giustissimo prendere provvedimenti con chi abusa del suo potere, ma dall’altra; si genera altrettanto male nel “godere” della distruzione delle carriere altrui. Il “Karma” non è comunque favorevole. E soprattutto, non si ottengono, talora, risultati concreti che aiutino effettivamente a cambiare in meglio. Se non un eccessivo clamore momentaneo, per suscitare il cosiddetto “effetto” giornalistico. Per ottenere l’attenzione del pubblico e il picco di views. Alle volte, non si va oltre tale aspetto, ed è un male…

Con questo, non sto prendendo assolutamente le difese di chi molesta, i cosiddetti “carnefici”, (cosa che mi inorridisce perché anch’io ho ricevuto proposte “indecenti” lungo il mio percorso professionale nel modeling), ma, al contrario, si dovrebbe provvedere a creare, all’interno del mondo della moda, un foro competente a tutti gli effetti, che allontani gli individui “non professionali” dopo un numero di richiami e segnalazioni gravi ed importanti. Ma soprattutto, che tuteli al centro per cento le modelle che ne sono vittima.

Non può esistere (e non deve esistere) la convinzione che, nel caso si segnalasse qualcuno per molestie, si viene allontanate/i dal set e dall’ambiente. Tutto questo senza eccessive spettacolarizzazioni. Semplicemente, se non si dispone di una corretta condotta professionale, si viene allontanati immediatamente dall’ambiente, o peggio, RADIATI. Molto spesso i “carnefici” sono individui fragili a livello emotivo, che sfruttano il loro potere nel modo più scorretto e viscido, per mostrarsi ai propri occhi degni di importanza e considerazione.

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Perché ognuno di noi ha la libertà di amare chi vuole e quando vuole, senza essere vittima di nessun ricatto

Quando in realtà è mera utopia, anzi, ci si compromette pesantemente a livello lavorativo. Questa modalità, è la più scorretta in assoluto. Ricattare una modella, contro la sua volontà, forzatamente e manipolandola mentalmente, per farle avere le sue foto in cambio di qualche prestazione sessuale, è la procedura più scorretta in assoluto. “Perché ognuno di noi ha la libertà di amare chi vuole e quando vuole, senza essere vittima di nessun ricatto”.

L’amore è bello e autentico proprio per questo, come da sempre ci hanno insegnato. Questa è la mia opinione personale, personalissima, riguardo il movimento Metoo nella moda.