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Milano Fashion Week 2020: Gucci e il rito generativo di Alessandro Michele

Milano Fashion Week 2020: Gucci e il rito generativo di Alessandro Michele

“Rimasticare il passato per me è un modo per non banalizzare i vestiti e non ossessionarmi sulle lunghezze degli orli. Quel che mi interessa, infatti, è raccontare una storia, e se qualcuno ci vede lacerti di altre storie, ben venga. Non mi devo giustificare. La mia urgenza vera è quel che voglio dire” Alessandro Michele

Il direttore creativo di Gucci porta in passerella una collezione autunno/inverno 2020 in continuità con quella maschile vista a gennaio nella quale veste tutte le individualità imperfette che compongono una nuova idea di normalità

Felliniano

“Nulla si sa, tutto si immagina.” Federico Fellini

Per la sfilata, Alessandro Michele si inspira a Fellini, il concetto di “ridefinire la normalità come un insieme di infinite, stravaganti, sbagliatissime e scoordinate individualità dove non esiste regola, ma soltanto l’anarchica autogestione dell’espressione di sé”. In un modo dove la perfezione fisica è diventata una vera e propria ossessione, incentivata dall’arrivo dei social network. Un esperimento che lo stilista ha iniziato proprio sul palco di Sanremo con Achille Lauro.

Il concetto di sfilata

Ho sempre pensato alla sfilata come a un accadimento magico capace di sprigionare incantesimi. Un’azione liturgica che sospende l’ordinario, caricandolo di un sovrappiù di intensità. Una processione di epifanie e pensieri dilatati che si accomodano in una diversa partizione del sensibile.

In questa festa che si nutre di attesa, il mio pensiero trova la sua forma e si fa pubblico. Annoda ossessioni e spinte antigravitazionali. Sosta sull’improbabile. Accarezza quella nostalgia d’umano che altri chiamano imperfezione. Cuce, con la precisione dell’amore, ogni più piccolo dettaglio della scena per offrirlo a una comunità di interpreti.

C’è l’incanto del dono, in questo rito che non ammette repliche. C’è la promessa di una consegna preziosa. Le luci si spengono. Gli adunanti sostano in attesa, con mani aperte. Tutto tace perfettamente, per accogliere i miei battiti storti e le mie vertigini.

A questa tribù di spettatori emancipati offro la mia poetica. Che ne facciano interrogazione profonda. Che mi aiutino a comprenderla. Potranno tradurla o tradirla. Usarla per ridestare domande sopite. Oppure semplicemente respingerla, in assenza di varchi di compassione. Il dono è materia viva, un rebus il cui significato non appartiene a nessuno.

Anche oggi abiteremo questo rito, per me sacro. Un corteo di passi disegnerà lo spazio, come rintocchi nel tempio. Misteriose imbastiture presteranno il loro giuramento alla luce. Una partitura di note magnificherà profezie impresse su corpi in movimento.

C’è tuttavia qualcosa che, in questa cerimonia, solitamente rimane sepolto: lo sforzo del partoriente che accompagna il tremore della creazione; il ventre materno in cui la poesia, da forma a forma, fiorisce. Ho deciso quindi di alzare un velo su ciò che ama nascondersi. Che esca dall’ombra quel miracolare di mani sapienti e di respiri trattenuti. Che si faccia visibile quell’intelligenza collettiva che cura la gestazione, con brivido che infuria. Che si costruisca un trono per quell’alveare scalcagnato e un po’ folle che ho scelto come casa.

Perché quella è la casa che venero: il varco benedetto attraverso cui la bellezza esce dal guscio. Alessandro Michele

La collezione

La passerella si trasforma in una pedana rotante al centro dello spazio, stile Alexander McQueen e dietro a delle pareti circolari di vetro, viene ricreato il backstage della sfilata stessa con le modelle che vengono vestite dagli stylist sotto l’occhio attento dei presenti. La collezione comprende: abiti dallo stile anni ’70 realizzati con velluti e i colori accessi, le gonne di tulle e le balze, i calzettoni al ginocchio portati con i sandali “con gli occhi”, amati e odiati da bambini, rivisitati in una versione platform. E ci sono le scarpe da barca con stampa a fiori liberty e i mini abiti “bambola” bon ton, i colli e le maniche vittoriane, le marinarette e i dandy, i jeans sdruciti e i maglioni portati a mo’ di sciarpe su abiti da principesse contemporanee.