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Helmut Newton, Alexander McQueen, Vivienne Westwood e Yves Saint Laurent: il Fashion tra nudità e peccato originario

Helmut Newton, Alexander McQueen, Vivienne Westwood e Yves Saint Laurent: il Fashion tra nudità e peccato originario

Nel giardino dell’Eden…

Adamo ed Eva, favola presente nei testi sacri biblici, attraverso la quale l’Occidente giudaico-cristiano ha raccontato l’origine dell’usanza di tenere coperte, almeno in pubblico, quelle parti del corpo considerate “intime”. È una storia lunga, che talvolta, siamo costretti a semplificare rendendola elementare e fiabesca. Immaginiamo, per un momento, Adamo ed Eva che, ancora innocenti, s’aggirano nel giardino dell’Eden senza provare alcun imbarazzo rispetto alla propria nudità.

L’interpretazione del Nudo come “Verità” trova in questa concezione, il proprio fondamento e origine. Pochi, riconoscono che tutta la moda da spiaggia della seconda metà del 20° secolo, a partire dalla comparsa del primo “bikini” (comunemente chiamato costume da bagno), fino ai club naturisti di oggi, si riconosce in quell’origine, che lo dichiari esplicitamente o meno. Simbolo che il “tuo” corpo può essere esposto come pura natura, senza timidezza.

La natura è di per sé verità e innocenza

E si sa che la natura, è di per se stessa, verità e innocenza. Nulla di male, quindi, riguardo il nudo e la nudità. Almeno sotto l’aspetto teorico, che è molto differente dalla realtà pratica delle cose. È un dato di fatto che l’arte figurativa (greco-romana, Neoclassica, Rinascimentale e non solo) condivida con la storia della moda un punto in comune di reciproco interesse, che è la rappresentazione della perfezione del corpo umano, in tutto il suo splendore.

Canova

Arte e moda a confronto

Soprattutto nella storia della rappresentazione della bellezza occidentale. Un’avvenenza destinata a durare per sempre: dal Classicismo alla modernità. “Quelle proporzioni ideali potranno anche essere trasgredite, ma in nessun caso ignorate”. È quasi inevitabile, che il nudo artistico, con la sua alta idealità estetica, finisca con l’essere considerato come un termine di confronto determinante verso la propria “troppo” umana nudità, talora caratterizzata da qualche piccola imperfezione. Basti pensare alla pubblicità contemporanea, per esempio dei profumi e dei cosmetici, per comprendere il potere mediatico che può esercitare una figura nuda presentata nella sua fresca e giovanile ‘perfezione’ da modelli e modelle. “Un corpo dalla moda lavorato, certamente, ma non idealizzato nel senso del Nudo classico”.

Invictus, fragrance Paco Rabanne

Proprio per via di questo “potere”, la storia tra il Nudo d’arte e il Nudo di moda è da sempre caratterizzata di incontri, abbandoni e di insolite riappacificazioni. Che sia nudo o “ignudo”, la storia della moda è scritta sulle fotografie di Helmut Newton, uno dei più grandi fotografi di moda di ogni epoca.

Helmut Newton, trasgressione e fotografia

Trasgressione e fotografia, la rappresentazione della nudità per eccellenza. La fotografia “fuori dagli schemi” di Helmut Newton è un mix eccezionale di luce e composizione, i suoi tratti delicati in contrasto con le composizioni forti delle donne seminude hanno praticamente segnato la storia della moda e molti dei suoi insegnamenti sono stati utilissimi per le generazioni di fotografi successive. Per esempio il nuovo rapporto fotografo-modella, molto importante per lui con una distinzione principale sul comportamento con il soggetto.

Oggi la qualità espressiva del fashion world, attraverso i vestiti, rappresenta l’arte sotto una nuova luce. “Non è sufficiente, infatti, dire che la moda è un’arte, o che c’è arte nella moda”. La bellezza moderna non è assoluta ma relativa e la moda parla una lingua che non è quella dell’indumento, ma quella di chi lo personalizza indossandolo. Come nel periodo delle Heroine-chic.

Jean-Paul Gaultier e Madonna

Basti pensare al famoso bustino di Jean-Paul Gaultier esibito da Madonna durante un concerto, per capire come lì “sia quel corpo a parlare, a sostenere l’indumento e a dargli un senso”. L’inserimento del nudo negli stili contemporanei ‒ mediante strappi, tagli, asimmetrie, sfrangiature, trasparenze ‒ sottolinea maggiormente la distanza tra il Nudo classico e quello di moda. Pensiamo a Show, l’installazione-performance di Vanessa Beecroft. Sponsorizzata dalla nuova Gucci di Tom Ford, essa venne presentata nel 1998, nel salone d’ingresso del Guggenheim Museum di New York . “Venti top model, quasi tutte in bikini e sandali con tacchi a spillo, ma alcune completamente naturali e non depilate, si offrivano lì, lo sguardo fisso e l’aria infastidita, alla contemplazione del pubblico”.

Vanessa Beecroft

Era un gesto di sfida e di umiliazione nei confronti dei visitatori, che si trovavano ad applicare il loro sguardo, inevitabilmente curioso, su oggetti vistosamente passivi e senz’anima. Indumenti, che si vedono passare nelle sfilate dei maggiori stilisti contemporanei: giacche con sotto niente, camicie aperte all’ombelico, trasparenze dove meno ce le aspetteremmo. Vestiti che sono corpi e corpi che sono vestiti. E tutto questo sia per gli uomini, sia per le donne.

Coco Chanel

Coco Chanel infine , acquisisce definitivamente la percezione comune l’immagine della morbidezza, della sensualità della figura femminile. Quanto poi alla figura maschile, il classico ‘completo’ può considerarsi una ufficializzazione del nudo statuario.

La filosofia di Vivienne Westwood

Secondo Vivienne Westwood, la grande stilista britannica, la moda, intesa come fashion, ha sempre a che vedere con il fatto che, ‘in fondo’, si è sempre nudi. Vivienne Westwood la quale, forse in omaggio alla provocazione punk dei suoi anni di formazione, nel 1989 fece sfilare una modella inguainata in una calzamaglia color carne semplicemente guarnita, al punto giusto, dall’applicazione della mitica foglia, realizzata per l’occasione in vetro verde. Proprio come una nuova Eva.

E la stilista in persona, poco tempo prima, aveva indossato quell’identica “mise” a conclusione di una sfilata di modelli maschili. Per non parlare dell’immagine ancora più irriverente che, in una collezione della stessa Westwood intitolata “Britain must go pagan”, vide la modella Sarah Stockbridge sulla passerella vestita di una semplice camicia da uomo sommariamente abbottonata e di un paio di mutandine del classico color carne. Praticamente “nuda”.

La posa dell’uomo nudo, d’altra parte, evocava immediatamente la suggestione della statua perfetta dell’arte classica. Vivienne Westwood, così, si ricollega, ai miti della tradizione greco-cristiana. “La nudità corporale, quindi, per esistere in noi stessi e negli altri, deve prima essere osservata”. Per questo motivo non esiste ‘nudo’ che non sia anche un nude look.

Si cade nel look come si cade nel peccato, fin dall’inizio dei tempi. Come negli anni Sessanta che vedono protagonisti i nude look ‘storici’ di Ossie Clark e di Yves Saint Laurent. “Nel look l’esperienza del vestito come corpo si prolunga, si estende e si radicalizza in quella del corpo come vestito”. Un’ulteriore sperimentazione è stata seguita fra gli altri da Alexander McQueen, Olivier Theyskens e Dolce e Gabbana. La trasparenza, guadagna nuovo terreno negli anni Sessanta. Nascono gli abiti di plastica e gli abiti col buco, che lì per lì godono di grande popolarità.

Pierre Cardin disegna tuniche di jersey dai vivaci colori, e le incide di tagli geometrici. All’inizio del nuovo millennio, la trasparenza torna di nuovo in auge. Alexander McQueen, nella primavera-estate 2001 spinge la ricerca sulla trasparenza ancora più in là, con un abito che intitola “Red glass slide and ostrich feather dress”, costruito con duemila vetrini da microscopio cuciti a strati l’uno sull’altro a formare un corpetto che dai fianchi sale su fino alla gola.

Alexander McQueen

Una piccola riflessione che vede la trasparenza, strumento per la bellezza massima e seduttiva del corpo. Nudità nella moda , è il corpo attraverso il quale passa un raggio luminoso. Il corpo, che può essere pensato solo a partire dalla fotografia, è un corpo che si colloca oltre il ‘nudo’ diventando opera d’arte.

Fonte: “Treccani Enciclopedia”

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