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Nicola Batavia, lo chef curioso

Nicola Batavia, lo chef curioso

“Abbasso alla noia” è il suo motto, in cucina e nella vita
A caratterizzare la vita movimentata di Nicola Batavia ci pensano anni di esperienza all’estero, centinaia di ore passate ai fornelli, voglia inesauribile di nuove sfide e il bisogno fisiologico dopo tanto peregrinare di tornare a “casa madre”, come chiama lui il suo ristorante dove la mamma prepara pane e focacce tutti i giorni.

Abbiamo conosciuto lo chef qualche anno fa all’interno del suo ristorante torinese, ‘l Birichin. Lo abbiamo seguito a Londra dove, in occasione delle Olimpiadi 2012, è stato nominato responsabile del Food&Beverage di casa Nike sfamando, nel vero senso della parola, il 70% degli atleti in gara.

Rincontriamo Nicola oggi a pochi giorni da un appuntamento speciale che lo vedrà protagonista.
Venerdì 11 ottobre, a La Rinascente di Milano, in collaborazione con Clinique lo chef reinterpreterà infatti il colore della nuova crema idratante della maison, il giallo, con 30 piatti dal gusto impareggiabile.

Ha cucinato in tutto il mondo in ristoranti ma anche per privati. Ci può dire cosa differenzia i clienti italiani da quelli del resto del mondo?
Direi che la differenza nasce dalla nostra cultura del cibo. Gli italiani sono abituati ai sapori delle materie prime e alla varietà dei piatti.
Il cliente straniero invece si approccia alla cucina italiana con una curiosità impareggiabile ed è quindi decisamente più sensibile al gusto puro.
Quando cucino per loro quindi tendo a focalizzarmi più sui sapori, a valorizzarne l’essenza attraverso piatti della tradizione, agli italiani invece riservo il colpo di scena, qualche cosa che li sappia ancora stupire.
Più in generale si può dire che la cultura italiana per il cibo è sempre, e forse sempre di più, molto rispettata. I ristoranti che esportano il made in Italy prestano attenzione alle materie prime e alla qualità del piatto e proprio per questo manteniamo alta la nostra reputazione consolidando il nostro ruolo nella scena gastronomica mondiale.

Le hanno mai fatto qualche richiesta strana che si è rifiutato di esaudire?
Si è capitato. Una volta, ad esempio, sono stato chiamato a cucinare per un personaggio arabo che voleva seguissi un ricettario italiano che prevedeva un genere di cucina che io non faccio.
Le lasagne, per intenderci, sono buonissime ma le deve fare la nonna. Tanti piatti che fanno parte della nostra storia oggi non sono più come una volta, per prima cosa perché le materie prime hanno gusti differenti, e poi perché la cultura dell’alimentazione è cambiata.

Da poco ha ristrutturato il suo ristorante mettendo la cucina al centro della sala, come mai questa scelta?
La risposta più immediata è che non amo stare fermo, abbasso alla noia.
Io che per lavoro viaggio molto ho sempre le antenne alzate e per tutte queste sollecitazioni rischio di annoiarmi facilmente. Più di quattrodici anni fa ho introdotto nel mio ristorante la cucina a vista perché sono fan della trasparenza e perché mi piace interagire con chi mangia i miei piatti. La cucina al centro della sala è un ulteriore step in questa direzione. Ho rinunciato a dei coperti ma ci ho guadagnato la possibilità di divertirmi. Presto lancerò anche un’iniziativa che permetterà a chi viene a ‘l Birichin di cucinare. Io metterò a disposizione le materie prime e regalerò a fine serata un cesto con i prodotti e le conserve che prepariamo ma a mettersi in gioco in cucina saranno i clienti in prima persona.
Capisce che questo, inserito in un ristorante di un certo tipo, basato su un ritmo di lavoro ben preciso, è un progetto abbastanza innovativo.

‘l Birichin - Torino

Cos’ha significato per lei l’esperienza delle Olimpiadi prima a Torino e poi a Londra?
Prima di tutto è stata un’esperienza umana davvero significativa. Stare in contatto quotidianamente con campioni come Michael Phelps, Kobe Bryant, Maria Sharapova, per dirgliene alcuni, che nel loro sport sono i numeri uno ma nella vita sono ragazzi umili e simpatici, beh è una cosa che ti lascia a bocca aperta. Loro nella Nike Vip House si rilassano perché sono lontani da occhi indiscreti e perché fra di loro sono amici dall’altra parte ci sono io che con addosso la mia giacca da cuoco mi sento a casa; queste non possono che essere le basi per poter condividere delle esperienze, anche umane, importanti.

…e professionalmente?
E’ stata ovviamente una grande soddisfazione. Essere scelto come responsabile food&beverage da un’azienda come la Nike non può che fare piacere. Londra forse ancora di più perché voleva dire essere riconfermato dopo Torino e che il mio modo di interpretare la cucina tradizionale italiana si era rivelato vincente.
Gli sportivi hanno bisogno di mangiare tanto ma anche di mangiare sano perché questo li aiuta nelle prestazioni. Trovarsi davanti il 70% degli atleti in gara alle Olimpiadi che ti dicono che amano quello che gli cucini è una bella gioia, ti senti utile, una sensazione unica amplificata dal fatto che con il passare di giorni diventi per loro un punto di riferimento.

Venerdì prossimo sarà a La Rinascente di Milano per un evento targato Clinique, ci può svelare in anteprima una delle creazioni “in giallo” che proporrà?
Il tema che abbiamo dato all’evento è: giallo e idratazione. Da questi due elementi è nata l’idea di un uovo di quaglia idratato in acqua tiepida al profumo di zafferano e croccante di riso.

Stanno spopolando i reality e i programmi televisivi i cui protagonisti sono aspiranti cuochi e ricette facili o meno, secondo lei è cambiato il ruolo della cibo e della cucina in generale nella vita di tutti i giorni?
Non voglio entrare nel merito se siano troppi i programmi o troppo pochi. Quello che penso in generale è che, alla cucina e al mio mondo questa esposizione mediatica abbia fatto bene. E’ positivo che le persone si interessino alla cultura legata al cibo.
Per me è una gioia un bambino che viene nel mio ristorante e mi dice che vuole fare lo chef o che mi spiega come vuole un piatto perché lo ha visto fare in televisione. Anche se la vita poi lo porterà da un’altra parte, nella realtà va anche detto il mio è un lavoro duro; ci abbiamo comunque guadagnato una persona appassionata e, visto che il cibo è la cultura dell’uomo, questo è un bel guadagno.
Personalmente poi vado in televisione ma non troppo, alla fine ho bisogno di stare in cucina.

Nicola Batavia e sua mamma al ristorante ‘l Birichin - Torino

www.nicolabatavia.it
Francesca Zottola