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L’orgoglio di essere una donna manager

L’orgoglio di essere una donna manager

In collaborazione con B&G Business & GentlemenUna storia imprenditoriale di terza generazione. Una storia che parla di passione per il lavoro, di difficoltà superate a causa di un “maschilismo ancora troppo radicato”, di gioie e dolori di un passaggio generazionale in atto e dei sacrifici nell’essere madre single e manager impegnata su più fronti. È la storia di Paola Carniglia, responsabile Commerciale e Relazioni Esterne nell’impresa di famiglia, la OTIM spa di Milano, azienda attiva da 60 anni nel mercato dei trasporti internazionali e marittimi. Paola Carniglia, oltre ad essere manager in azienda, ricopre diversi incarichi: è consigliere del Gruppo Giovani di Confindustria Monza e Brianza e promotore per la Lombardia della Fondazione Italia-Cina.

La sua è una storia imprenditoriale di terza generazione. Come e quando è nata l’azienda?
L’azienda è stata fondata sessant’anni fa da mio nonno ed è cresciuta grazie all’imprenditorialità di mio padre Mario che ancora oggi, nonostante i suoi 70 anni, è a capo della OTIM. Adesso ci siamo io e mio fratello Enrico che stiamo vivendo il passaggio generazionale e i numerosi cambiamenti dettati dalla crescita degli ultimi anni. Al contrario, mio padre si è trovato a dover gestire l’azienda da solo, a 20 anni a causa della morte improvvisa del nonno. Noi invece abbiamo avuto, entrambi, la fortuna di studiare, crescere in realtà diverse per poi approdare in azienda. Gli scenari e i contesti in cui prima nostro padre e oggi noi, stiamo vivendo il periodo di transizione erano e sono differenti e di questo bisogna tenerne conto.

Come è stato il suo personale percorso di avvicinamento e ingresso in azienda?
Dopo la laurea in Economia alla Bocconi ho fatto un’esperienza di un anno negli Stati Uniti dove ho lavorato per una compagnia marittima. Sono stati dodici mesi stupendi e se fosse stato per me, sarei rimasta oltre oceano ma le circostanze, il carisma di mio padre e le prospettive future me lo impedirono.

Colgo un po’ di amarezza…
Forse. A quell’età avrei voluto fare la giornalista, scrivere libri. I sogni erano altri ma l’azienda chiamava e io non ho potuto tirarmi indietro. Inoltre il mio essere donna non ha facilitato le scelte: abbiamo una serie di problematiche che un uomo non conosce, soprattutto in un lavoro come questo in cui è necessario viaggiare molto. Purtroppo c’è ancora molto maschilismo e a causa di un tessuto ancora duro a estinguersi tutto diventa più complicato. Da quando sono mamma, single, le difficoltà e i pregiudizi si sono accentuati.

Dove ha trovato la motivazione per affrontare la sfida in azienda?
Mi hanno aiutato da una parte l’orgoglio e dall’altra la forte e carismatica immagine di mio padre e la mia ammirazione nei suoi confronti, uniti al desiderio di dare un seguito al lavoro fatto da lui in questi anni. Inoltre mio padre è stato bravo a rendermi il lavoro “stuzzicante”: a soli 20 anni mi sono trovata a dover viaggiare in Cina o in America con responsabilità importanti. Grazie alla sua spinta ho imparato moltissime cose e ho iniziato ad appassionarmi a questo lavoro. I sette anni trascorsi seguendo il settore Fiere in azienda, sono stati sicuramente i più belli e stimolanti: mi dividevo tra Italia, Cina, Stati Uniti, lavorando anche di notte per via dei vari fusi orari. I ritmi erano logoranti ma l’entusiasmo era tanto. Dopo questo primo step in azienda, e in seguito alla nascita di mio figlio, sono diventata responsabile dell’area commerciale, marketing e relazioni esterne.

È ancora molto presente questo fattore del maschilismo nella sua quotidianità?
Purtroppo si. E i motivi sono due: da una parte c’è una mentalità difficile da cambiare e dall’altra viviamo in un sistema, quello italiano, ancora troppo povero di strutture in grado di supportare le mamme che lavorano. Lo dico sinceramente: se non potessi permettermi una persona fissa a casa avrei serie difficoltà a lavorare. Si pensi che negli Stati Uniti la maternità dura due mesi, di contro però esistono strutture pubbliche in grado di aiutare una mamma. Purtroppo a noi donne vengono richiesti sforzi enormi. Se vogliamo che l’imprenditorialità femminile cresca bisogna chiedere al Paese di puntare su una politica di asili nido pubblici che non privilegi solo determinate categorie ma che si apra a tutte le mamme.

Cosa ne pensa dell’aumento delle quote rosa nei CDA?
Per me è una regola inutile. La nomina deve essere meritata non imposta. Il problema è a monte, senza cambio di mentalità il problema resterà.

Quali sono i principali meriti di suo padre?
Sicuramente l’aver traghettato l’azienda verso traguardi importanti. È stato grazie a lui se la OTIM è stata una tra le prime imprese italiane ad approdare in Cina, nel 1975.

Il mercato cinese per voi è un punto di riferimento importante…
È fondamentale e fa parte della storia dell’azienda. Siamo presenti fisicamente a Pechino con i nostri uffici e questo ci ha permesso di creare un rapporto di fiducia con i clienti cinesi che rappresenta la nostra vera arma vincente. Grazie a mio padre e al suo lavoro, si è puntato molto sulle fiere e le prime manifestazioni fieristiche cinesi le abbiamo seguite noi e continuiamo a raccogliere i frutti di quelle geniali intuizioni paterne.

Quali invece i risultati sul fronte statunitense?
Quello americano è un mercato molto più complicato dove è necessario esserci fisicamente. Se in Cina il nostro merito è stato quello di avere un socio di riferimento, negli Stati Uniti invece abbiamo solo un ufficio di customer service. Ci abbiamo provato ma è un Paese molto più costoso e un mercato più competitivo dove c’è molto poco spazio per un’azienda di nicchia come la nostra.

Chi sono i vostri concorrenti di riferimento?
Chiunque faccia trasporti, senza alcuna distinzione. Come distinguerci? Puntando su un servizio personalizzato, creato su misura anche se oggi, per molti, è la variabile di prezzo l’unica discriminante.

Tornando sul discorso del passaggio generazionale. Quali sono gli aspetti più critici di questa fase?
Senza ombra di dubbio lo scontro tra nuova e vecchia generazione. Da una parte ci siamo io e mio fratello che vorremmo spingere verso una ristrutturazione aziendale più “accademica” e organizzata, di contro c’è chi tende a voler far restare le cose immutate. Mio padre è entrato in azienda quando ancora c’era la teleselezione, il telex. Oggi è tutto accelerato, la comunicazione in primis, e di conseguenza il lavoro e il modo di lavorare sono cambiati: la competizione è aumentata e si lavora su margini molto più bassi. L’azienda andrebbe ri-strutturata di conseguenza. Di contro mi rendo conto della difficoltà di cambiare la mentalità di un uomo di 70 anni arrivato in azienda a soli 20, un uomo che ancora oggi ha voglia di lavorare, seguire in prima linea le quotazioni più interessanti senza delegare. In questo momento stiamo provando a trovare una via di mezzo tra le due generazioni e le due mentalità ma la strada resta in salita.

Un sogno nel cassetto?
Il mio sogno resta quello di riuscire a continuare una tradizione che dura da tre generazioni, dando la possibilità a mio figlio di avere un futuro qua dentro, se vorrà naturalmente.

Vede qualche prospettiva di crescita?
Se parliamo di mercati non vedo nuove possibilità. Dovremo essere bravi a sfruttare quello che c’è, potenziando i nostri punti di forza e rafforzando il nostro know how in tutto il mondo. Le fiere continueranno ad essere il nostro settore di punta, nonostante la concorrenza si sia fatta più dura soprattutto da parte dei grossi spedizionieri. Ma la nostra esperienza e la nostra storicità rappresentano un valore aggiunto che ci ha permesso, tra le altre cose, di essere gli spedizionieri ufficiali di Expo Shanghai 2010.

by B&G Business & Gentlemen