Per tutti quelli che amano la cucina giapponese, inseritasi ormai nelle preferenze culinarie degli italiani, l’ultima frontiera è come sempre collocata a Milano, ed è rappresentata dal sushi d’oro. Un’idea nata dallo chef Roberto Okabe a Porto Cervo, lo chef che ama definirsi composto da “Hardware giapponese, Software brasiliano”, perché nato a San Paulo da genitori giapponesi. Nel suo Finger’s Garden, con sede oggi anche a Milano e Roma, è possibile ordinare sushi e sashimi conditi d’oro.
L’idea è nata per accontentare la richiesta di un abbiente cliente che desiderava una cena arricchita, è il caso di dirlo, con elementi d’oro. Questo accaduto ha spinto lo chef a creare un menù a base di sushi con foglie d’oro all’interno di ogni portata.
«Finger’s è un nome di fantasia» incalza lo chef Roberto Okabe in un’intervista di gamberorosso.it. «Ho messo una “s” con l’apostrofo dopo finger, perché volevo insistere sul concetto del sushi da prendere con le dita. Pensavo a tanti piattini, tanti assaggi: mi ero ispirato a quanto faceva Gualtiero Marchesi con i suoi menu degustazione. Quando ero a Erbusco sono andato più volte per capire i meccanismi. E ho capito che in alcuni aspetti lui, da maestro, si era chiaramente ispirato alla cucina giapponese, vedi anche il suo menu kaiseki.»
«Ho imparato dallo sport che devi conquistare il risultato mattone dopo mattone, non puoi contare solo sulla fortuna o sulla presunzione di essere forte» prosegue Okabe. «Io sapevo solo che mi ero preparato benissimo sulla cucina italiana, già ai tempi della Compagnia, gestita da una persona straordinaria quale Max De Luca a cui devo molto. E non essendo integralista, ho pensato a piatti dove si univano le diverse culture. Ci ha sicuramente aiutato anche la curiosità tipica di Milano per le novità e la voglia di cibo sano, senza condimenti, leggero, che non fa ingrassare. A partire dal sushi.»
Nel 2011 Okabe ha deciso di allargarsi, sempre a Milano: un gioiello di ben 1.400 mq, in piazza Carbonari, che sarebbe appropriato anche a Kyoto. «Ho scelto di chiamarlo Finger’s Garden perché mi ero reso conto già qualche anno prima che la gente si “adattava” al Finger’s pur venendo con piacere. Mancava spazio interno, un parcheggio comodo, i clienti dovevano aspettare in piedi che il tavolo si liberasse… Il Garden è la risposta: c’è un bar dove bere qualcosa prima e dopo, sale privé, tanti posti per le automobili. E poi un giardino zen, come volevo io.»
«Ho perfezionato tutto quanto imparato in quindici anni di lavoro in Italia. Intanto ho un locale con quello che non potevo avere al Finger’s: una cucina più grande e meglio attrezzata, celle e freezer di grosse dimensioni, un’organizzazione perfetta. Al Garden sono diventato più bravo e insieme a me tutta la mia squadra, in cucina e in sala. Mi sono divertito quando Cracco ha detto che sono il miglior cuoco a Milano: si vede che non voleva nominare i suoi colleghi italiani… Scherzi a parte, sono occasioni importanti: la brigata si sente motivatissima e abbiamo la possibilità di imparare da loro. Poi chiaramente mi fa piacere». Conclude divertito Okabe.