Dal 28 ottobre 2006 al 25 marzo 2007 in mostra a Brescia
Composta di circa 270 opere e divisa in 5 ampie sezioni, la mostra in programmazione dal 28 ottobre 2006 al 25 marzo 2007 al Museo di Santa Giulia di Brescia traccerà, per la prima volta in Italia, un filo rosso all’interno dell’importante vicenda della nascita del paesaggio impressionista. Un punto di vista dilatato e storicamente fondato guiderà i visitatori tra Turner, Monet, Pissarro, van Gogh e molti altri.
La prima sezione grazie all’opera di Constable e Turner, racconterà le maggiori pre-esistenze in Europa, al di fuori della Francia, in quanto a interpretazione del paesaggio. Questo capitolo introduttivo sarà già l’affondo dentro una natura descritta e interpretata in modo assai diverso rispetto al XVIII secolo. Si andrà dal realismo che si tramuta in lume nuovo sulle cose di Constable alla dissoluzione della natura nella luce e nel colore introdotta da Turner e che successivamente conterà così tanto per Claude Monet.
La seconda sezione, intitolata Dall’Accademia al primo plein air, illustra l’evoluzione del paesaggio da fondale scenografico a genere in cui la natura viene consapevolmente studiata dal vero da pittori come Granet, Constantin, Valenciennes e, naturalmente, Corot. Questa disposizione d’amore sarà il punto di partenza anche per i giovani pittori impressionisti quando, qualche decennio più tardi, si affacceranno sulla scena parigina.
Intitolata Da Barbizon al primo paesaggio impressionista, la terza sezione mostra l’impressionismo guadagnare gradualmente il centro della scena. Si avrà modo, quindi, di misurare quale fu la novità introdotta da quei pittori, i cui esordi sono da ricondurre ai primissimi anni trenta.
La natura non è più quella di un’Italia pittoresca e idealizzata, ma quella di una Francia scoperta gradualmente. Si inizia con l’esplorazione delle foreste attorno a Parigi, come Compiègne, Montmorency e Louveciennes. Ma il luogo che, più di altri, rinvigorì il paesaggio contemporaneo francese fu la foresta di Fontainebleau con le sue frazioni. Barbizon, Marlotte e Chailly, Corot, Français e Huet furono tra i primi a frequentare questi luoghi mitici, e vennero poi seguiti da Diaz de la Peña, Rousseau, Daubigny e Courbet, solo per dire degli artisti più celebri che hanno costituito un fondamentale ponte tra la pittura accademica di paesaggio in Francia e gli impressionisti. Ai loro esordi, Monet, Bazille, Sisley e Pissarro, si ritrovano negli stessi anni a dipingere in questo luogo mitico rielaborando la lezione dei maestri più anziani e sviluppando in particolare un’attenzione affatto nuova per il dato atmosferico e l’importanza della luce.
La quarta sezione, Paesaggi dell’impressionismo, abbraccia oltre 150 opere, divenendo, dunque, il cuore vero di tutta l’esposizione, che mostra la ricchezza e diversità di visione a partire dai primi anni Settanta fino agli albori del nuovo secolo. In quasi quarant’anni di pittura, non solo matura e giunge a compimento il linguaggio impressionista più universalmente noto, ma di lì si evolvono in modo assolutamente perentorio singole figure di artisti che apportano ulteriori e più fecondi elementi di novità: Sisley, Pissarro, Guillaumin e Caillebotte. Ma i veri giganti di questa irripetibile stagione sono Manet prima di tutti, e poi Gauguin, Monet, van Gogh e Cézanne.
Questa sezione vuole restituire il senso del confronto continuo che ha animato le esistenze degli impressionisti, del loro cimentarsi molto spesso su soggetti simili, nello stesso tempo o a distanza di anni, in perfetta solitudine o l’uno a fianco dell’altro.
In un succedersi affascinante le opere saranno disposte per nuclei tematici. Innanzitutto si possono ammirare le vedute di Parigi realizzate da molti tra gli impressionisti, Caillebotte in primis, e le opere sulla campagna francese, dove tanti tra questi artisti danno il meglio di loro stessi. Quindi il tema dell’acqua, ovvero i fiumi di Francia, dalla Senna all’Oise, e poi i quadri dedicati al mare, da quelli celeberrimi di Manet e dai molti che Monet vi dedicò soprattutto durante i soggiorni importanti in Normandia o in Costa Azzurra, fino all’esaltazione dell’accecante luce mediterranea nei quadri di Signac. Questo capitolo della mostra includerà anche i viaggi che gli impressionisti fecero, quindi, e sempre restando al tema delle città come ruolo centrale, anche i quadri dipinti fuori Parigi.
A Il giardino è intitolata la quinta e ultima sezione dove sono presentati molti dei capolavori più alti di tutta la mostra, a cominciare per esempio da Un angolo del giardino a Rueil dipinto da Manet nel 1882, qualche mese prima della sua morte.
Affiora qui la dimensione di dialogo intimo che gli impressionisti mettevano quando dipingevano un giardino, creando scene di famiglia o esaltazione dell’abilità nel rendere i giochi di chiaroscuro che la luce creava con la vegetazione. È quello che accade per esempio negli Oleandri celeberrimi realizzati da Bazille nel 1867 o quanto si può vedere nel Parco a Yerres dipinto da Caillebotte dieci anni dopo. A una visione più aperta e meno scintillante di riverberi luminosi, si rifà Pissarro che a distanza di vent’anni l’una dall’altra dipinge due opere, gli Orti a L’Hermitage, Pontoise del 1874 e gli Alberi in fiore.
Per molti degli impressionisti il giardino continuerà a esser letto come il luogo della fioritura, della vita felice che nasce. Questo tipo di soggetto non poteva che affascinare van Gogh al suo arrivo a Arles, nella primavera del 1888. Il tema del giardino è però forse quello che per eccellenza va ricondotto all’opera di Monet e al tempo ultimo della sua vita a Giverny.
La mostra si conclude tra visioni del giardino, dei glicini e delle ninfee di Monet, lontanissima da dove era partita, eppure, così vicina a certi quadri di Turner. La decantazione della materia dipinta, un percorso fatto di fiorite sottrazioni di luce. La natura diventa respiro del cosmo, la voce di infinito nata dallo stagno incantato di Giverny.