Si diceva di Irving Thalberg, capo della produzione della MGM e ispiratore del personaggio principale, Monroe Stahr, in The Last Tycoon di Fitzgerald, che non faceva film, li rifaceva, il che significa che la sua attività artistica principale era operare remake del lavoro di altri. Il regista Steven Soderbergh, anche se non avrebbe motivo di farlo, è un uomo del remake nel senso più ovvio, avendo rifatto Doppio Gioco (Criss Cross) di Siodmak così come Torbide Ossessioni (The Underneath), Traffik as Traffic di Simon Moore e l’iconico film sulla rapina da sogno alle casseforti dei tre più grandi casinò di Las Vegas, ovvero Ocean’s Eleven, rifacimento di Colpo Grosso.
Rapinare i casinò è una trama cinematografica familiare in ogni epoca. Nel 1955, cinque anni prima che Frank Sinatra nei panni di Danny Ocean e il suo ossequioso clan di ex compagni di guerra distruggessero cinque casinò di Las Vegas in una notte come accade in Colpo Grosso, una squadra di ragazzi del college pianificò un’incursione in un luogo di gioco d’azzardo Reno in Five Against the House, e otto anni dopo ci fu il grintoso Radiografia di un Colpo D’Oro – They Came to Rob Las Vegas.
Ma questo di Soderbergh, Ocean’s Eleven, è un film di rapina allo stato d’arte, una limousine luccicante di un film ambientato nella nuova Vegas, la Disneyland del gioco d’azzardo da cui le masse sono state espulse per essere sostituiti da squali aziendali come lo spietato Terry Benedict (Andy Garcia), proprietario del Bellagio, il casinò in cui Braques e Picassos guardano con disprezzo i commensali e i giocatori, il quale tiene i soldi dell’MGM e del Mirage nei suoi caveau.
Tess (Julia Roberts nel ruolo originale di Angie Dickinson) gestisce il lato galleria dell’azienda ed è sia l’amante di Terry che l’ex moglie di Danny Ocean. Così, quando Danny (George Clooney) esce dalla prigione del New Jersey dopo aver scontato quattro anni per furto, decide di prelevare 80 milioni di dollari dall’impenetrabile caveau di Terry e reclamare sua moglie.
Assomigliando a Clark Gable, ma più autonomo, il Danny di Clooney contatta il vecchio amico Rusty Ryan (Brad Pitt), insegnante di poker delle star di Hollywood, il quale tramanda efficacemente ai suoi alunni alcune strategie di Blackjack, nonchè ex gangster che nutre profondo rancore contro Benedict.
Come Yul Brynner e Steve McQueen nel film originale, i due hanno deciso di reclutare i loro magnifici 11. Scelgono un gruppo selvaggio di esperti, tra i quali un anziano truffatore ebreo (Carl Reiner), un acrobata cinese (Shaobo Qin), un mago dell’elettronica mormone (Scott Caan), e uno scassinatore nero britannico (Don Cheadle), che parla in gergo in rima, un riferimento scherzoso a Terence Stamp come l’eroe eponimo di L’Inglese (The Limey) dello stesso Soderbergh.
Esattamente per capire quale sia il ruolo di ognuno ci vorrebbe uno Sherlock Holmes per dedurlo, e parte del divertimento è vedere proprio il piano generale prendere forma un po’ alla volta, fino a quando il pezzo finale assurdo completa l’intero quadro.
La generosa prestazione da headliner di Clooney offre ampio spazio per mostrare il resto del talento, e nessuno qui manca di ciò tra i membri del cast. Pochi registi hanno fatto sembrare le loro star ad alto profilo quasi sovrapponibili nei ruoli agli altri presenti. Garcia è abbastanza cattivo da voler distruggere tutto e la Roberts abbastanza sfuggente da essere il naturale oggetto del desiderio. Brad Pitt assolutamente appropriato nel suo smoking blu con il quale esce dalla prigione ben due volte.
Il film è più simile a un viaggio elegante in mongolfiera che a un viaggio sulle montagne russe ed è quella cosa rara, un thriller senza alcuna violenza, sesso o volgarità. In un piccolo epilogo, la banda contempla silenziosamente il suo lavoro e la bellezza di Las Vegas di notte sulle note di “Clair de Lune” di Debussy. A differenza del film di Sinatra del 1960, ignora l’aspetto delle esibizioni live e non vediamo mai uno spettacolo in sala o un cabaret.
Questo è l’intrattenimento dell’ordine senza sforzo. Il ritmo di Soderbergh lascia poco spazio all’agitazione e la storia si diffonde fotogramma per fotogramma in modo che le trame possano girare con coerenza ed eleganza.
Ocean’s Eleven è privo di moralità se non una dedica all’onore tra i ladri e cenni di gambling e lezioni di blackjack di 888; è costantemente divertente in un modo che invita a sorrisi di apprezzamento piuttosto che a risate fragorose; è coinvolgente, ma non fa mai nulla di così volgare da risultare fuori topic. In una parola, è quello che si prefigge di essere (e quello che il Sinatra di Colpo Grosso pensava che fosse, ma il più delle volte non è riuscito a essere) – per eccellenza.
I bravi ragazzi sono dei truffatori? E allora! Se solo tutti i truffatori fossero così gentili. Niente pistole, niente cliché da gangster. Questo è un film che gioca con le fantasie, e pochi lo fanno con tanto gusto.