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Pampaloni dall’argento al vino

Pampaloni dall’argento al vino

Intervista a Gianfranco Pampaloni
È dal 1902, anno di fondazione dell’attività, che il marchio Pampaloni è sinonimo di creatività estrema.

Ogni singolo pezzo che esce dalla bottega argentiera fiorentina, a ridosso della Galleria degli Uffizi (ma le creazioni Pampaloni si possono acquistare anche a Atene, Istanbul, Kiew, Los Angeles e Miami) è un’opera d’arte che non ha doppioni.

Ci sono poi creazioni, quali la collezione Bicchierografia (una serie di bicchieri realizzati su disegni rinascimentali) che hanno un che di onirico, di eccentrico e di fantasioso o i gioielli di lusso così particolari da diventare il punto focale della personalità stessa di chi li indossa.

Questa vena di eccentricità e creatività ha attraversato ben tre generazioni di Pampaloni per arrivare, fortificata a ispirare Gianfranco nella creazione di una serie di etichette di vini e di un olio di qualità elevata. Un progetto questo sviluppato con l’originalità che caratterizza la sua famiglia da oltre un secolo.

Tanto per iniziare il cambiamento del nome “Ero Gianfranco Pampaloni – spiega Gianfrancol’argentiere per signora, ora sono il Principe Spartaco Pampaleoni” o le speciali etichette (la cui realizzazione grafica è stata fatta in collaborazione con Simonetta Doni di Studio Doni & Associati), ironiche, semiotiche e talvolta provocatorie.

“Non si può non menzionare – illustra il Principe Pampaleoniil “Rubato di Toscana” che è un Super Tuscan, sempre buono perché scelto tra le più preziose vigne dopo lunghi appostamenti, vendemmiato di notte per evitare ossidazione e altri grossi problemi, Denominazione di Origine Poco Controllata. Oppure “Alchool Tester” che richiama la tabella ottotipica dell’oculista; “Sottacqua” è vino bianco da pesce degustato dal pesce stesso; “Tardivo”, suo malgrado, vendemmia lunghissima per incapacità dei raccoglitori; “Principe di Riserva” a seguito di Reali giustamente espulsi è necessario un rimpiazzo e molte altre etichette ricche di storia da scoprire e da assaggiare”.

Tutto ha un significato per il Principe Pampaleoni, a partire dallo stemma di famiglia che fa bella mostra sui prodotti. La croce rappresenta i 6000 seguaci di Spartaco I che furono crocefissi nudi lungo la via Appia nel 72 a.C. La croce della Savoia dove Spartaco XIX ha vinto il titolo di Principe a un concorso di ballo. La catena rotta è il simbolo della fine dello stato di schiavitù. Il leone e il gladio rappresentano quelli di Spartaco I che affrontava uomini e belve nell’anfiteatro. Infine, il pampano OGM – Organismo Giustamente Modificato, si riferisce al concetto: “libera crescita in libera terra”.

“Non casuale neanche il nome Spartaco – continua Pampaloniriferito al grande eroe mai esaltato dai sudditi italiani piuttosto inclini a farsi dominare da duci e monarchi del nord. E come Spartaco, io sono insofferente per la dittatura dei sommelier e preferisco il confronto leale tra produttori nella popolare arena dei bevitori senza giudici”.

Come il suo omonimo e glorioso antenato, il Principe Spartaco XIX vuole liberare l’uomo dalla schiavitù, in particolare da quella imposta dalla natura, facendo ricorso ai suoi OGM. Quelli di Spartaco sono Organismi Giustamente e non Geneticamente Modificati, perché egli rispetta l’esclusiva e bizzarra volontà divina di stabilire la genetica dei curiosi esseri del creato, assegnando un nome alle cose del mondo organico e inorganico, che ne riveli e talvolta ne riesca a mutare, anche l’intima natura.

Come nasce questa sua avventura enologica?
Dopo tanti anni di tollerata cura delle vigne di Mucciana, nei pressi di San Casciano, mi è venuto il desiderio di fare il mio vino e non conferire più le uve ad altri produttori del Chianti Classico. Quindi mi è sorta la questione di quale etichetta ideare per tale vino e ogni giorno mi venivano in mente tanti nomi che poi rimpiangevo di dover escludere perché riferibili a vitigni diversi dai miei. Allora ho voluto veder realizzato questo zibaldone di nomi e vitigni diversi e ho trovato le condizioni ideali per realizzarlo. Infatti, la cantina sperimentale in cui vinifico il mio Sangiovese ha contatti con eccellenti produttori di tutta Italia che volentieri hanno collaborato.

A quanto ammonta la vostra produzione?
Il progetto è alla sua prima uscita ufficiale e abbiamo prodotto 8mila bottiglie. A regime prevediamo di arrivare a 500mila bottiglie l’anno.

In occasione del lancio del suo vino è nata anche una linea di accessori
Si, accanto al vino, si trovano dei particolari accessori, talvolta curiosi persino per gli addetti ai lavori. Un esempio è il Secchio da vino, che consiste in una pentola di alluminio con lo stemma del Principe. Ma anche il Bicchiere di Cirano o “grande naso”, che permette di inserire il naso dentro al bicchiere, così da usare anche l’olfatto per l’assaggio. C’è poi il bicchiere assaggiavino che delude la voglia di bere generosamente dopo il primo sorso o il tastevin-pendentif ovvero l’assaggia vino appeso al collo, è quel che resta dei sommelier travolti sulle Strade del Vino.

E che ci dice dell’olio chiamato “Vergine?” con quel punto di domanda che mette in dubbio la qualità stessa del prodotto?
Tutti i falsari del mediterraneo sono solleciti nel promettere su etichette stile “della nonna morta ” o “del frantoiano malato” l’assoluta extraverginità del proprio olio, prodotto tra moliture e torture di altro genere.

E magari è davvero extravergine ma cattivo e allora che piacere viene dal “vergine e cattivo”?
Il mio olio è soprattutto buono, va giudicato per questo e non per una banale qualità. Poi non voglio nemmeno impietosire il consumatore raccontando l’immane fatica della raccolta sull’albero in novembre, masochismo non pornografico perché non fine a sé stesso, l’olio che ne deriva è davvero migliore. Il fatto che poi gli olivi si trovino nel Chianti fa anche la differenza perché il Chianti è più bello di altri luoghi di cultura olivicola e il bello fa tutto più buono. Arroganza, supponenza e ambizione fiorentina hanno comunque dato molto al mondo; la spocchia di olivicoltori della brutta campagna spagnola ha prodotto morchia per toreri mangiatori di testicoli. E poi i nostri contadini toscani colgono le olive pensando alle cose più bizzarre, futili o criminali, drammatiche o serene, mai banali; subiscono la fatica con piacere per far dispetto alla condanna a lavorare che Iddio ci ha affibbiato per un fico colto nel suo giardino. Il contadino toscano è Prometeo tra vigna e olivi per dare agli uomini vino e olio da Dio. Ecco il Peccato Originale Toscano, il nostro segreto extravergine di oliva.

Alessandra Iannello