
Dalla sentenza alla donazione di Taylor Swift
Lo scorso venerdì, 19 febbraio, è stata emessa la sentenza più attesa nell’ambiente musicale americano.
Nell’ottobre del 2014 la popstar Kesha ha accusato il suo produttore Dr. Luke di averla molestata per molti anni e ha chiesto a un giudice di rescindere il contratto che la lega professionalmente a lui.
La richiesta della cantante era infatti quella di emettere un’ingiunzione che le permetterebbe di registrare dischi con altri produttori e etichette che non siano Dr. Luke e Sony, con i quali ha un contratto che prevede un totale di sei dischi e finora ne ha incisi tre.
“So di non poter lavorare con Dr. Luke. Non ci riesco fisicamente. Non mi sento sicura in nessun modo”, ha detto la popstar ma secondo la Corte Suprema di New York, “non esistono prove di un danno irreparabile” nei confronti di Kesha.
“Mi stai chiedendo di rompere un contratto frutto di intense negoziazioni e tipico del settore – ha commentato il giudice Shirley Kornreic. – […] Non capisco perché devo emettere una misura straordinaria come un’ordinanza” sottolineando l’assenza di prove di natura medica dei presunti abusi sessuali e in generale la fragilità della richiesta.
Kesha ha dichiarato che gli abusi risalirebbero già alla firma del contratto, ovvero nel 2005. Per diverso tempo la cantante sarebbe stata costretta ad assumere droghe e alcol in diverse occasioni, prima di farle avance sessuali. Otto mesi fa però è seguita una parziale ritrattazione delle accuse da parte di Kesha che decise di intentare causa alla Sony Music Entertainment in quanto “i comportamenti di Dr. Luke erano dovuti ai dirigenti di Sony Music Entertainment, che o erano a conoscenza della condotta del produttore e hanno fatto finta di niente, non prendendo provvedimenti, o hanno nascosto tutti gli abusi”.
Dr. Luke, il cui vero nome è Lukasz Gottwald, dal canto suo nega tutto e dopo anni di silenzio ha scritto su Twitter un lungo messaggio che si concludeva così “Ho tre sorelle, una figlia e un figlio con la mia ragazza, e una mamma femminista che mi ha cresciuto correttamente. Kesha e io abbiamo fatto molte canzoni insieme, ed è stato spesso bello ma a volte ci sono state divergenze creative. È triste che lei abbia trasformato una negoziazione contrattuale in qualcosa di così orrendo e non vero”.
Gli avvocati della Sony, che hanno difeso Dr. Luke, hanno fatto notare che Dr. Luke ha speso molti soldi per la promozione della carriera di Kesha, circa 60 milioni di dollari. A questo si aggiunge che sia il produttore sia Sony, proprietaria della Kemosabe Records, ovvero la casa discografica di Dr. Luke, hanno detto che Kesha è libera di lavorare con altri produttori per il suo prossimo disco, purché esca con l’etichetta di Dr. Luke.
Per gli avvocati della cantante questo però è un compromesso non accettabile perché è possibile che il suo nuovo eventuale disco non sarebbe promosso adeguatamente dalla casa discografica.
Non è ancora chiaro dunque se Kesha deciderà di continuare a lavorare con Dr. Luke oppure cercherà altri modi per interrompere il contratto e la cantante non ha ancora detto se farà ricorso contro la sentenza emessa dal giudice Shirley Kornreic.
Quello che si sa è che dopo venerdì, diverse personalità dell’ambiente si sono mobilitate pubblicamente in favore di Kesha tanto che e in poco tempo l‘hashtag #FreeKesha è diventato un trend su Twitter.
Da Lady Gaga a Iggy Azalea, da Ariana Grande a Demi Lovato sono solo alcune delle star che si sono schierate dalla parte di Kesha e pare che Taylor Swift le abbia donato anche 250 mila dollari “per sostenerla finanziariamente in questo momento difficile e supportarla nella battaglia legale” come confermato dalla mamma di Kesha, Pebe Sebart.
Proprio per questa ondata mediatica della sentenza, gli esperti di industria musicale dicono che è possibile che a un certo punto Sony concederà a Kesha di rescindere il proprio contratto per evitare una ritorsione negativa sull’azienda in termini di immagine.