Esportare la dolce vita
Il mondo, nei prossimi anni, diventerà sempre più ricco.
Infatti nel 2017 ci saranno 192milioni individui con un reddito annuo almeno pari a 30mila dollari (a prezzi del 2005 e a parità di potere di acquisto) in più rispetto al 2011.
La metà di essi proverrà dai principali centri urbani di Cina, India e Brasile, anche se la classe benestante si sta ampliando pure in paesi più vicini all’Italia, come Russia, Turchia e Polonia. Le strategie per approcciare questi mercati è stata al centro del convegno “Esportare la dolce vita” organizzato a Milano dal centro studi di Confindustria e Prometeia con il contributo di Anci, Federalimentare, Federlegno-Arredo e Smi.
“A marzo – ha detto Roberto Monducci, direttore del dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche di Istat – le esportazioni hanno segnato un incremento del 4% rispetto a febbraio. Rispetto a marzo dello scorso anno, l’aumento delle esportazioni (+12,3%) coinvolge tutti i principali comparti, con un tasso di crescita ampiamente superiore alla media per l’energia (+46,6%)”.
Le importazioni dal mondo di prodotti belli e ben fatti (bbf) nei trenta principali nuovi mercati cresceranno fino a 136miliardi di euro nel 2017, ovvero 44miliardi in più rispetto al 2011, segnando così un aumento del 48% in sei anni. Le nuove stime sono più favorevoli di quelle elaborate un anno fa (edizione 2011 di Esportare la dolce vita) perché incorporano uno scenario di crescita migliore per i paesi emergenti. Un terzo della domanda aggiuntiva verrà da Russia, Cina ed Emirati. Il contributo della Russia da solo conterà più di quello dell’intera America Latina. L’Asia emergente sarà l’area più dinamica in termini percentuali: +66% in sei anni; per l’India, addirittura, le importazioni di beni bbf quasi raddoppieranno in tale periodo.
“La crescita dei consumi nei nuovi mercati – ha spiegato Alessandra Lanza, responsabile delle strategie industriali e territoriali di Prometeia – ha radici strutturali, emerse prima della crisi e che continueranno oltre le fasi cicliche. È da segnalare che, nel 2011 per la prima volta, la domanda dei Bric ha superato gli Stati Uniti, da sempre il maggior importatore mondiale“.
Le vendite all’estero di bbf sono un sottoinsieme del made in Italy e hanno raggiunto, nel 2011, 51miliardi di euro, pari al 14% delle esportazioni manifatturiere totali italiane. Il 36% di esse viene dall’alimentare, il 32% dall’abbigliamento e tessile casa, il 14% dalle calzature e il 18% dai beni d’arredo.
La voce degli imprenditori
“Il nostro settore – spiega Cleto Sagripanti, presidente di Anci – è fortemente vocato all’export. Infatti l’80% del nostro fatturato è generato oltre confine. Questo ci ha permesso, dopo oltre dieci anni di cali, di vedere risalire il dato inerente l’occupazione”.
Volano delle esportazioni calzaturiere è la fiera Micam (a Milano, durante i 4 giorni di manifestazione, alcune aziende portano a casa oltre il 70% del fatturato di stagione) che, dopo Shanghai, Mosca, Monaco e New York, il prossimo anno sarà in Cina. “I problemi legati all’export – continua Sagripanti – sono inerenti alle barriere doganali. In Russia le norme non sono chiare mentre il Mercosur è ancora bloccato da dazi al 35%. Per comprendere al meglio l’importanza dell’export basti dire che nei prossimi anni Cina e India importeranno calzature dal nostro paese per 6miliardi di euro”.
Sentito da tutti i rappresentanti di categoria (al convegno milanese erano presenti anche Filippo Ferrua Magliai presidente di Federalimentare, Giovanni Anzani vice-presidente di FederlegnoArredo, Michele Tronconi, presidente di Smi e Paolo Zegna, vice-presidente per l’internazionalizzazione di Confindustria) è la necessità di esportare la “way of life” italiana.
Così nasce il progetto Store Italia, ovvero una catena di grandi superfici con marchi italiani che aiutino le imprese che non hanno la forza per aprire dei monomarca. “Dobbiamo creare presidi forti all’estero – ribadisce Tronconi – ma anche puntare sul turismo per portare il mondo in Italia e far diventare il viaggiatore ambasciatore in patria dell’italian style”.
Ci sono poi problemi specifici di ogni settore.
“L’alimentare – spiega Ferrua Magliani – è il secondo settore per volumi esportati. Infatti su un fatturato che, nel 2011 è stato di 127miliardi di euro che diventeranno 130 nel 2012, 23miliardi, pari al 18% del turnover, provengono dall’export. Inoltre il 77% della produzione rientra nella classificazione bff, percentuale che tocca il 90% se si tiene conto dei soli prodotti finiti. I nostri problemi nell’esportare sono legati alla religione, al gusto e alla storia del paese dove vogliamo arrivare oltre che alla trasportabilità e alla deperibilità dei prodotti stessi”.
Un grave danno, quantificabile in 60miliardi di euro, alle esportazioni alimentari viene anche dalla contraffazione e dai prodotti “italian sounding”. “Solo circa 6miliardi – continua Ferrua Magliani – si perdono per la contraffazione, il resto è da imputare alla mancata vendita per la concorrenza di prodotti che hanno un nome che richiama il prodotto originale italiano. Non è invece ancora quantificabile a quanto potrà ammontare il danno legato alla “food tax” che, oltre a gravare determinate categorie di cibi di una tassa del 14% diventerebbe una sorta di “marchio d’infamia” che li farebbe catalogare come “cibi non sani””.