Una leva di comunicazione molto interessante per le Maison ma che merita molta attenzione nella declinazione strategica e nell’execution
Le MAISON del Fashion così come quella della gioielleria di Lusso stanno utilizzando sempre di più il Food e la ristorazione come elemento forte della loro comunicazione, i loro clienti desiderano infatti la stessa bellezza, attenzione al dettaglio e approccio sostenibile che trovano negli abiti e negli accessori che indossano anche nel Food. Ecco perché, assistiamo sempre più ad una contaminazione virtuosa tra due business così differenti.
Abbiamo ascoltato sull’argomento uno dei principali esperti italiani del settore: Lelio Mondella.
Key takeaways
- Luxury fashion brands, come Ralph Lauren, Dior, Tiffany, Louis Vuitton, etc…hanno aperto nuove attività di Food e ristorazione in tutto il mondo, con particolare attenzione al mercato asiatico.
- Questa contaminazione tra Food e Fashion e Luxury è diventata ormai un pilastro della comunicazione di molti brands anche grazie all’impatto che hanno i fashion blogger e i clienti che divengono essi stessi Brand Ambassador
- Gestire due business così differenti comporta varie difficolta per i P&L delle attività a meno che si calcoli in modo differente l’apporto totale al business del brand che esse portano
Non è infatti più una novità prendere un aperitivo da Bulgari, bersi un drink in un ristorante Louis Vuitton, fare un lunch da Ralph Lauren, avere un’esperienza di ristorazione stellata da DIOR o, parafrasando il film con Audrey Hepburn, fare Breakfast da Tiffany.
Il trend è si è consolidato alcuni anni fa in modo marcato con le acquisizioni di COVA e Marchesi rispettivamente da LVMH e PRADA ma sta divenendo sempre più uno strumento di Brand engagement per la maggior parte dei Fashion e Luxury brands
Perché?
Consideriamo 3 fattori chiave che spiegano questo fenomeno:
1. Il Food è sempre più un fenomeno di costume, culturale, edonistico e immersivo. Come tale quindi è uno strumento sempre più interessante per comunicare i valori del Brand e grazie al fatto che ormai oggi tutto è instagrammabile sempre più consumatori sono disponibili a investire in esperienze che si consumano in un’ora. In tempi di social media come un gioiello o un abito che sono potenzialmente per sempre e quindi si ammortizzano (Patek Philippe dice nel suo storico adv: “un PP non si possiede mai completamente, semplicemente si custodisce e si tramanda”), così finalmente l’immortalità e l’ammortamento di un investimento esperienziale come una cena presso il ristorante di un brand famoso, viene garantito da un post condito da belle fotografie pubblicato “per sempre” sul social media prediletto.
2.Un quotidiano touchpoint con il Brand, i suoi valori, i suoi colori e le sue atmosfere. Pensiamo a quanto sia più semplice e quotidiano prendere un caffè o mangiare una club sandwich in un ristorante appartenete ad uno dei Luxury brand, esperienza queste accessibile a quasi tutti, ripetibile con frequenza (alta) decisamente diversa dall’ingresso in Tiffany o Prada e senza l’imbarazzo che talvolta coglie i fashion addicted di entrare in boutique senza poi poter comprare nulla
3.Un pilastro di fisicità multisensoriale sempre più importante in un approccio omni-cahnnel che a fronte di investimenti sempre maggiori in digitalizzazioni spinte, metaversi ed e-commerce, richiede sponde fisiche per essere efficace ed emozionante.
Le opportunità quindi per cavalcare questo trend sono molto forti anche alla luce del fatto che dopo la pandemia è in corso una razionalizzazione della quota di retail immobiliare destinata alla ristorazione e che il mercato chiede sempre più nuove proposte soprattutto in una logica di Trading up esperienziale meglio ancora se Luxury. In tal senso si spiega ad esempio il mega investimento voluto dal CEO di DIOR, Pietro Beccari al numero 30 di avenue Montaigne a Parigi, la nuova casa DIOR, dove ovviamente non poteva mancare anche una parte dedicata al Food (Restaurant monsieur DIOR gestito dallo chef francese Jean Imbert). Altro recente esempio che conferma il desidero di estendere le esperienze dei brand, è il neonato Gucci Giardino 25, cocktail bar di Gucci aperto in Piazza Signoria a Firenze, bartender Martina Bonci. Notevole seppur di diversa logica anche il recente investimento fatto a La Samaritaine, il grande magazzino LVMH che ha riaperto a Parigi dopo 15 anni, dove non poteva mancare il Food ben rappresentato dalla Langosteria, dentro Cheval Blanc Paris (marchio top anche nella produzione di vino) e dalla Pasticceria COVA. Ottimo esempio lo troviamo presso il ristorante Beige di Chanel, guidato Alain Ducasse a Tokyo, che viene utilizzato principalmente per coccolare e far indulgere i migliori clienti nei valori e nelle atmosfere del brand.
Esistono tuttavia anche delle minacce nell’affrontare questa Brand extension in ambito Food a partire dalle aspettative dei clienti che sono sempre più attenti e capaci di valutare la qualità dell’offerta e del servizio, con aspettative in tal senso rese ancora più alte proprio per l’allure che il marchio impersona e quindi di esperienze uniche e memorabili. Pensiamo anche alle esigenze di sostenibilità e innovazione che pervadono le nuove strategie Fashion che il consumatore attende di vedere declinate anche in ambito Food, perché come dice Monsieur Arnault: “customer is king!!” e non possiamo raccontargli storie incoerenti
Sul fronte del business giova ricordare che le operations delle maison Fashion e Luxury e quelle del Food-Ristorazione hanno ben poco in comune. Le due voci di Bilancio più sensibili risiedono nelle cosiddette OPEX e CAPEX categorie entrambe verso le quali spesso i Fashion e Luxury brand sottostimano gli impatti avvalendosi di modelli o abitudini che per l’appunto non sono caratteristici del FOOD.
Ma vediamo più nel dettaglio: all’interno delle OPEX in una attività di Bar-Pasticceria-Ristorante il peso maggior è da imputarsi al costo del personale di sala che oltre che essere uno dei punti critici anche per gli operatori di settore per i quali aiuti al reddito (tipo in Italia il reddito di cittadinanza) e competizione retributiva non consona (retribuzioni in nero) costituiscono un enorme problema di assoluta attualità, abbiamo anche nello specifico del nostro tema, il bisogno di avere personale che oltre che essere capace, sia idoneo a rappresentare i valori del brand, nel profilo, nell’aspetto, nel portamento e ovviamente nella padronanza della lingua inglese, nel livello di formazione quindi, vista la frequentazione percentualmente importante di turisti fashion addicted. Ciò comporta un impatto di costi di ricerca, gestione e reward che grava sull’attività decisamente alto non sempre facilmente sopportabile dai fatturati delle attività stesse. Rilevanti poi sono anche i Costi di affitto che essendo sempre le location prescelte nei fashion districts, o nei mall più pregiati pesano enormemente se attribuite correttamente all’attività Food divenendo spesso un’altra componente di costo molto impattante
Da non trascurare è anche l’importanza dell’esistenza delle cosiddette SOP (standard operating procedures) che devono essere “business specific” e spesso non vengono debitamente considerate nella creazione di un’attività Food based da parte di operatori NON del settore
All’interno dei CAPEX merita particolare attenzione, relativamente al tema di cui stiamo trattando, l’abitudine dei brand di appoggiarsi agli stessi interlocutori abituali per definire l’arredo dei ristoranti sia per quel che concerne il progetto architettonico, sia per la definizione dei layouts oltre che ovviamente per la scelta dei materiali. Ciò se da un lato appare comprensibile, visto il bisogno di mantenere assolutamente il Look-Touch and Feel del brand stesso, dall’altro costituisce quasi sempre un extra costo molto superiore alla media del settore ristorazione/Food.
In questo contesto non ci soffermiamo a parlare del sistema di prodotto, del Food Cost o delle scelte di menu o della qualità del cibo e magari lo faremo in un altro pezzo più specifico
Il risultato spesso è che il Profit & Loss dell’attività fatica a stare in piedi ritardando i break even delle attività Fashion-Luxury Food di più dei tipici TRE anni se non addirittura determinato perdite continuative.
Il punto cruciale rimane sempre la visione e la strategia all’interno della quale i brand di Fashion e Luxury inquadrano il calcolo dei ROI (Ritorno sull’Investimento) delle loro attività Food e ristorazione, ammesso e non concesso che lo calcolino!
A mio avviso queste attività devono essere considerate “solo” attività di pura comunicazione ed eventualmente dal punto di vista della contribuzione economica che esse apportano si potrebbe tentare di misurare e inserire nel calcolo del ROI, i margini addizionali che derivano dall’attività Food su quella caratteristica ancorché andrebbero inseriti più nei piani strategici quinquennali che non nei budget annuali in considerazione del fatto che la “conversione” non può che essere calcolata sul medio-lungo periodo, esattamente come avviene in tutti gli investimenti in comunicazione. Ci sono esempi virtuosi negli Usa che dicono che il 30% dei clienti dei Caffe Fashion-Luxury entra poi nello store del brand contiguo ma non sappiamo con che conversion rate medio
Dall’altro lato è pur vero che invece sui ritorni in termine di brand awareness e new customers generations engagements l’apporto che queste attività danno è altissimo e molto “democratico”, con un costo contatto relativamente contenuto, pensiamo alle generazioni Z e di come bevendo un caffè entrano in contatto con i valori del brand iniziando quel percorso che negli anni a venire li porterà ad essere clienti di borse o gioielli.
Concludendo ritengo che l’interesse per approcci di comunicazione legati ad attività FOOD e di Ristorazione ad appannaggio delle Maison Fashion e Luxury, nonostante alcuni risultati non siano al momento economicamente appaganti, continueranno a fiorire stimolando il profilo di tutto il settore perché ormai la nostra vita deve essere documentata sui social media e non c’è niente di più quotidiano, internazionale e appagante del LUXURY Food per esprimere noi stessi, d’altronde il filosofo Feurebach già a metà dell’800 diceva : “l’uomo è ciò che mangia”.
Autore: Lelio Mondella, Board member – CEO – Strategic Advisor for sustainable Food and Luxury companies. Italian Excellence Supporter. Part-time Professor in Luxury and Fine Food mgmt.in LUISS Business school