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Il dilemma del fotoritocco

Il dilemma del fotoritocco

Quale il confine tra reale e mondo idealizzato dell’adv?

Verso la fine dello scorso settembre, le pagine dei principali giornali hanno riportato la notizia di un disegno di legge della deputata francese Valerié Boyer ideato per obbligare gli editori di pagine pubblicitarie con modelle ritoccate a inserire la dicitura “fotografia ritoccata per modificare l’apparenza fisica delle persone“. Lo scopo è presto detto: i modelli estetici che la comunicazione massmediatica propone sono pericolosi in quanto pressoché impossibili da raggiungere. La distanza tra il mondo idealizzato della pubblicità e il reale potrebbe
essere un solco pericoloso per gli individui maggiormente deboli.200_1

I giovani soggetti a disturbi come anoressia o bulimia potrebbero infatti prendere i parametri estetici rappresentati dalle immagini pubblicitarie come un risultato da raggiungere a qualunque costo. Il mondo del lusso e della moda starebbero quindi per attrezzarsi per inserire nelle proprie comunicazioni una dicitura che segnali l’artificiosità delle immagini. Dalle informazioni ad oggi a disposizione ci sono però diverse zone d’ombra. In particolare:

A) Quale tipologia di immagini sarà oggetto della dicitura? Sicuramente una pagina che vede un corpo ritoccato nella sua interezza. Ma come dovremo muoverci per le pubblicità con un primo piano su un viso ritoccato? E quando abbiamo un primo piano di un occhio abbellito con un software per la pubblicità di un mascara? Anche nella rappresentazione dei particolari potremmo infatti incorrere nel rischio di proporre, come ha detto la deputata, “realtà che spesso non esistono“.
B) Quali categorie commerciali, saranno coinvolte? Photoshop non viene utilizzato solo per la moda ma per l’intero mondo della comunicazione. Sappiamo che, dalle intenzioni del disegno di legge, la dicitura potrebbe riguardare anche immagini dei vip dello spettacolo e della politica. In realtà è la totalità della comunicazione che vede l’uso del fotoritocco. Giusto una provocazione: anche le immagini di alcune comunicazioni no profit per la raccolta fondi sono ritoccate per enfatizzare la drammaticità di alcuni volti. Lo scriveremo anche lì?
C) Su quali media dovrà andare l’indicazione del fotoritocco? Sulle pagine pubblicitarie, ovviamente, ma perché non sulle confezioni dei prodotti e perché non sulle vetrine dei negozi? E negli spot televisivi? Inoltre non vediamo perché non dovrebbe riguardare anche le forme di comunicazione non prettamente commerciali, comunque riferimento per i giovani più a rischio, come i video musicali, i film e persino i diversi spettacoli televisivi, dove pochi accorgimenti di luci e trucco danno gli stessi effetti di un fotoritocco.

Il problema dell’anoressia è grave e di certo la moda ne è complice. Certe magrezze dovrebbero sparire dalle pagine dei giornali e dalle passerelle. Negli ultimi anni ci sono stati segnali di una maggiore sensibilizzazione sul tema ma bisogna fare ancora molto.200_2

Il punto sta, però, nel rapporto tra modelli di bellezza e di successo. Oggi sembra che molte personalità pubbliche di diversa provenienza (spettacolo, musica, sport, giornalismo, politica) debbano sempre più assecondare i canoni di bellezza proposti dalla moda per poter avere una loro definitiva affermazione. Qui sta il grande inganno, nel continuare a proporre riferimenti che privilegiano l’ostentazione del corpo sul successo del risultato. La moda, per contro, fa solo il suo mestiere, quello di proporre e di attualizzare il concetto di bello. In ABC siamo esperti di fotoritocco, non di anoressia. Se ci saranno evidenze che la dicitura sarà di aiuto al problema o se sarà legge anche nel nostro Paese, saremo i primi a ricordarci di metterla nei nostri lavori, ma la sensazione è che occorra affrontare seriamente i problemi che stanno dietro al rapporto tra questi disturbi e il mondo dell’immagine. Sarebbe più utile cercare di fare una complessiva analisi di che cosa viene dato mediaticamente in pasto ai giovani per aiutarli a prendere una distanza critica da ciò che quotidianamente vedono. Nella consapevolezza che un warning alle nostre finzioni pubblicitarie è solo una goccia in un oceano molto più profondo e pericoloso.

Paolo Necchi e Marco De Angeli, ABC