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Serge Blanco, il rugby è fashion

Serge Blanco, il rugby è fashion

Intervista a Benoit CarpentierC’era una volta a Tolosa, in Francia, un anziano professore di ginnastica chiamato Jean-Jacques Lauby, che si era riconvertito al commercio del pret-a-porter ma a cui era rimasta nel sangue una passione: quella per il rugby. Idolo indiscusso di questo sport, per Lauby, era l’immenso Serge Blanco, n° 15 del Biarritz Olympique, il più grande rugbista francese di sempre e uno tra i più celebri al mondo. Lauby aveva un sogno: una linea di abbigliamento firmata Serge Blanco, destinata a chi aveva il rugby nel sangue. Impossibile? No, perché Lauby riuscì nel suo intento e convinse Blanco a dare il suo nome alla prima collezione.

Era il 1992 e la linea era composta per lo più di polo a righe larghe, pesanti fino a 1 kg, che per la solidità del tessuto erano l’espressione dello sport che rappresentavano, fatto di valori solidi e correttezza, in campo e fuori. Da lì un’irresistibile ascesa del brand, specialmente in Francia, e un progressivo affinarsi di linee e tessuti finché, nel 2008, i figli di Lauby, Elsa e Lionel, subentrano al padre nella gestione dell’azienda, che ora punta decisamente all’Europa e all’Italia, come racconta a Luxgallery Benoit Carpentier, export manager di Serge Blanco.

Team Serge Blanco

Il marchio Serge Blanco in due parole.
Il brand Serge Blanco esiste da 17 anni, siamo ormai maturi nel mercato francese con 70 negozi monomarca e la presenza in 350 punti vendita multimarca, specializzati nello sportswear di alta gamma. Da due anni a questa parte abbiamo voluto sviluppare l’export e abbiamo lavorato molto per realizzare un prodotto più universale, per renderlo “meno francese” e più facile da vendere all’estero. Non abbiamo cambiato il dna della marca, ma abbiamo raffinato la produzione. Abbiamo quindi cominciato a essere presenti a Pitti e abbiamo trovato un bravo team di vendita in Italia che ci ha aiutati a creare una linea più “italiana”.

I valori del rugby e lo sportswear di alta gamma: quali i punti di contatto?
Il rugby è  uno sport molto leale, i cui valori si rispecchiano nella nostra azienda: una realtà sana e familiare, ci sentiamo una squadra più che un’azienda. I nostri capi hanno il rugby nel dna: capi robusti, di qualità, anche confortevoli. Tutte caratteristiche che noi usiamo per “giocare” con la moda.

Senza contare che il rugby sta vivendo un momento di grande popolarità…
L’immagine del rugby è molto cambiata nel mondo e soprattutto in Italia, da due anni a questa parte; da sport minoritario, è “diventato grande”: l’Italia ora gioca nel 6 Nazioni, i rugbisti italiani sono sempre più bravi e ricercati anche all’estero. È lo stesso processo che si è sviluppato in Francia 5, 6 anni fa: il rugby è diventato uno sport fashion.

Al quale rispondete con una collezione autunno-inverno 2010-11 molto ricercata…
Si tratta di collezione di ispirazione vintage. Si chiama 1958, è una linea “lavata”, dal sapore vissuto, nata anche perché dal mercato abbiamo avuto richieste per realizzare una collezione che andasse in questa direzione. Grande attenzione è riservata ai dettagli, come le finiture, i tessuti, i bottoni con 6 buchi che ricordano i 6 buchi della cucitura della palla da rugby… Insomma, è il nostro know-how che è piaciuto molto al mercato.

Come mai il nome 1958?
È l’anno di nascita di Serge Blanco.

Chi è il cliente Serge Blanco?
È un uomo che ama le cose ben fatte, un look sportivo ma di qualità, uno sportivo casual chic che a noi piace definire moderno contemporaneo. È importante che il consumatore conosca bene l’universo che vive e ruota intorno a una marca. Il nostro, appunto, è quello del rugby.

Che strategia commerciale avete per l’Italia?
Per ora la nostra strategia è quella di introdurre il marchio in negozi selezionati. Non pensiamo nell’immediato a un flagship store, se volessimo aprirne uno in futuro magari sceglieremmo una città con una forte cultura del rugby. In questo momento ci serve che il consumatore ci conosca bene tramite i nostri prodotti e per fare questo vogliamo anche lavorare bene con la stampa, per avere una nostra forte credibiltà.

Curiosità: lei gioca o ha mai giocato a rugby?
No, io preferisco… il terzo tempo (ride, ndr). Del rugby condivido i valori di amicizia, fair play, convivialità… terzo tempo, appunto.

Davide Passoni