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L’economia circolare come mezzo attivo per ridurre l’impatto ambientale dell’industria del lusso, l’esempio di Vestiaire Collective

L’economia circolare come mezzo attivo per ridurre l’impatto ambientale dell’industria del lusso, l’esempio di Vestiaire Collective

Il mondo non è più indifferente alle questioni ambientali, i cui effetti impattanti, frutto di secoli di politiche ed atteggiamenti scellerati da parte di tutta l’umanità ,non hanno tardato a farsi sentire. E così anche il mondo del lusso non ha esitato ad accogliere positivamente questo appello ad una maggiore sostenibilità, sia nella produzione dei capi di moda, che nella loro distribuzione.

Già in occasione del G7 di Biarritz, il CEO del gruppo Kering, François Henri Pinault ha presentato un patto di moda, firmato da 147 marchi di moda e lusso che rappresentano il 30% della produzione mondiale, tra cui strutture commerciali come Galeries Lafayette, e brand come Nike, Adidas, H&M, Kering, Hermès ed altri. Questo patto, che assume la forma di una serie di impegni a favore dell’ambiente, copre tre aree: la lotta ai cambiamenti climatici, la protezione della biodiversità e la protezione degli oceani dai rifiuti di plastica, dimostrando dunque tutto l’impegno in prima linea del settore del luxury. 

L’industria del lusso è per natura a lungo termine, con una lunga storia e un know-how specifico. Oggi è uno dei settori che ha uno degli impatti sociali e ambientali più negativi. La sfida è quindi che questi marchi attingano al proprio passato per registrarsi in futuro, con attività sostenibili. È una necessità anche commerciale: l’80% della crescita del lusso nei prossimi cinque anni arriverà dalle giovani generazioni, una popolazione molto sensibile a questi temi. Un giovane cliente su due ha già voltato le spalle a un marchio perché non era d’accordo con i suoi valori. È un nuovo mondo che si apre alle grandi case del luxury.

D’altro canto anche il mercato della distribuzione si è reso parte attiva in questo scenario grazie a piattaforme come Vestiaire Collective, leader globale nella rivendita di articoli pre-loved di lusso, da sempre promotrice dell’economia circolare, grazie al riuso di articoli ricercatissimi usati, sottoposti ad controllo di qualità̀ e autenticazione attenta, in modo da poter dare nuova vita a questi oggetti e contribuire a non inquinare l’ambiente con nuove produzioni. A dare man forte alla tesi secondo cui la Gen Z e i millennial siano fortemente vicini a queste tematiche e vogliano un segnale forte anche dai brand è il report promulgato proprio da Vestiaire Collective, dal titolo «The smart side of fashion».

Il catalogo della piattaforma offre oltre 60.000 nuovi articoli caricati nella community a cadenza settimanale, pezzi di moda come borse usate delle migliori marche, il cui incremento nella vendita in era Covid-19 ha subito un’impennata negli acquisti. Modelli esclusivi come l’intramontabile borsa Hermès nei modelli a tracolla come la Kelly o Kelly Mini – amatissima soprattutto nel suo rivestimento in coccodrillo -, la maxy bag Birkin, sempre più usata dalle influencer e dalle star, soprattutto la 28 in pelle nera, esattamente come la shopper in tela o pelle multi color Garden Party by Hermès. Altro grande must have del brand firmatario del patto della moda è la borsetta a tracolla Lindy, più piccola della Kelly ma ugualmente raffinata e capiente.  

Il prezzo di questi articoli è variabile e funzionale ad alcuni parametri tipici del mondo dell’usato. Innanzitutto il capo viene testato da esperti, e in alcuni casi viene richiesto al venditore di fornire anche prove di autenticità come le ricevute di pagamento, accertata l’originalità e la sua perfetta integrità, il suo valore è propedeutico agli anni del capo, alla sua tenuta e alle sue condizioni. 

Questa mobilitazione collettiva per l’ambiente è una cosa positiva, così come lo è la coscienza civica ed ecologica promossa dalle nuove generazioni che rappresentano il futuro del nostro pianeta. L’idea che i grandi brand del luxury riescano a concordare sfide e obiettivi industriali da stabilire in un quadro collettivo, è entusiasmante. 

Adesso che questo patto del lusso è attivo ma non vincolante, bisognerà capire se i brand capo fila hanno pensato a mettere in comune le innovazioni, come ad esempio la ricerca di nuovi materiali, o se questo rimarrà un argomento di concorrenza. La posta in gioco è il bene comune e salvare il pianeta, e in attesa di risposte operative da parte degli artigiani di questo mercato, la parte attiva sin da subito resta sempre il ricorso all’economia circolare e alle piattaforme che ne sono promotrici.