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Simone Cipriani, ritratto di uno chef “Essenziale” [INTERVISTA]

Simone Cipriani, ritratto di uno chef “Essenziale” [INTERVISTA]

Simone Cipriani, toscano, 35 anni, di mestiere chef. Non ci sono etichette che gli stanno bene addosso e questo, almeno per noi, è un vantaggio. Ed è anche il motivo che ci ha spinto ad indagare su di lui attraverso questa intervista. Tutto è iniziato su Instagram, durante il lockdown.

simone cipriani chef essenziale
Simone Cipriani al lavoro

Sono bastati due post per capire che dietro al Simone Cipriani chef c’è un ragazzo sensibile, pronto a mettersi in discussione, aperto al dialogo. Una gran voglia di comunicare oltre la timidezza di chi è cresciuto dentro alle cucine e dentro alle sue “brigate”, consapevole del suo ruolo, sì, ma mai usandolo per pura affermazione personale. Sono passati meno di due mesi e intanto Simone è tornato anche in televisione, su Gambero Rosso, con un’idea fresca e divertente, nata proprio nel difficile periodo di isolamento che abbiamo vissuto tutti in questa primavera del 2020. Manco a dirlo, anche in Tv per il suo nuovo programma ha scelto di esprimere la sua creatività in un’allegra brigata, con un compagno di viaggio altrettanto giocoso e arguto.

simone cipriani

Simone Cipriani, l’intervista

Simone Cipriani, chi è?

“Sono uno che ha capito alla tenera età di 31 anni che il lavoro non era tutto. Dopo essere stato anni e anni dentro alle cucine ho capito chi era davvero Simone e che era anche altro. Essere essenziale è questo, per questo è nato Essenziale (il suo ristorante a Firenze, ndr). Sono un creativo, mi piacciono le contaminazioni. Mi piace vivere spensierato, ma non sono uno spensierato perché mi piace spendere bene il mio tempo”.

Cosa hai conosciuto di te nella tua vita, professionale e privata?

“Sono in continua ricerca per imparare da me stesso, dalla vita e dal mio lavoro. Leggo prevalentemente libri sulla crescita personale, sulla leadership, faccio ogni giorno meditazione trascendentale. Sono una persona semplice, appassionata di progetti, un creativo sicuramente. Il mio lavoro è stata la mia migliore scuola di vita, la gerarchia in cucina ti forma il carattere. Le brigate fanno si che nascano incredibili amicizie con le persone con cui lavori, essere a lavoro quando tutti si divertono ti rende sicuramente diverso dalla massa, ma poi chi l’ha detto che diverso è peggio?”.

La tua vita professionale è uno specchio di Simone Cipriani nella vita di tutti i giorni?

“Non lo so, me lo sono chiesto diverse volte. Sto arrivando alla conclusione che Simone chef non sarebbe chi è senza Simone persona e viceversa. In pratica: una traccia di bipolarismo a volte aiuta… E anche l’essere essenziale. L’essenzialità per me vive nel dualismo tra immagine e sostanza, senza che l’una prevarichi l’altra”.

Chi sceglie di svolgere il lavoro di cuoco, consapevolmente o no, si ritrova a vivere in tempi e ritmi differenti da quasi tutte le altre persone. Ti ritrovi in questa affermazione?

“Chi lavora in cucina, nei ristoranti in genere, ha una vita del tutto fuori dall’ordinario. Ha orari strampalati, esce tardi, spesso mangia male e in orari strani. Ha poco tempo per fare ciò che le persone definiscono normale, anche cose ordinarie come pagare una bolletta o guardare un film in un orario decente. Credo sia per questo che ci sia un filo di pazzia diffusa nel mondo della ristorazione ed è proprio in maniera un po’ pazza che ho deciso di fare il cuoco”.

Quando e perché hai sentito di voler intraprendere questa carriera?

“Mio padre era ristoratore. Dopo un primo anno tragico di linguistico, all’età di 15 anni, bocciato, finii a dare una mano in sala durante l’estate al ristorante di babbo, indeciso ancora su cosa fare nella vita. C’era la cucina a vista e i cuochi che l’abitavano erano goliardici, simpatici, fuori dagli schemi, dei pirati. Al tempo non ero minimamente interessato alla cucina, ma dopo un’estate passata con loro i dubbi svanirono. Sapevo cosa volevo: salire su quella barca e diventare un pirata a mia volta! L’anno dopo iniziai l’alberghiera”.

E ora, in questo momento di difficoltà generale, la rifaresti? Se la risposta è affermativa, perché? Il tuo lavoro cosa ha di speciale da compensare una vita fuori dagli schemi “ordinari”?

“Come dice Guccini: ‘Se io avessi previsto tutto questo forse lo farei lo stesso…’ Mi piace portare avanti i miei piccoli, grandi progetti, costruire team, formare persone che crescono sia a livello professionale che personale. Esprimere la mia creatività plasmando i prodotti, fare ricerca, avere uno spazio di libertà”.

Cosa vuol dire per te oggi essere uno chef? Che emozioni ti dà entrare in cucina, come vivi il tuo lavoro?

“Essere uno chef in senso letterale, dal francese vuol dire essere un capo. Io vivo il ristorante a tuttotondo, cercando di dare principalmente degli obiettivi a me stesso e ai ragazzi, obiettivi grandi. Entrare in cucina è solo una parte del mio lavoro e lo trovo ancora molto bello e soddisfacente, soprattutto nel processo creativo. Spesso è proprio un rifugio da tutto, dove mi posso permettere di spegnere il cellulare e dedicarmi solo ai ragazzi, alle materie prime, a cucinare”.

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L’interno di “Essenziale”, il ristorante di Simone Cipriani a Firenze

“Essenziale” è il nome del tuo ristorante a Firenze. Come prende vita nel tuo locale questa filosofia? Come si può concretizzare l’essenzialità in una cucina di alto livello?

“Essenziale è un nome omen che, fin dall’apertura ci aiuta a capire la direzione da prendere. Essenziale è semplicità, ma non povertà, è pulizia, ma non finezza per forza. Il ristorante si plasma con me, con i ragazzi che compongono le varie brigate. Ciò che è importante è sempre cercare di fare qualcosa che ci piaccia e ci renda felici di spendere le nostre giornate là dentro, questo è Essenziale”.

Come riesci a coniugare il tuo doppio ruolo di chef e gestore di un ristorante?

“Ho una squadra fortissima. Ho un socio, Max, che mi spalleggia molto bene e mi solleva da diversi lavori che non sarei in grado di portare avanti da solo. E poi ci sono i ragazzi… dico davvero, per quanto i componenti possano cambiare, ho sempre la fortuna di circondarmi di persone che abbracciano completamente il progetto e mi aiutano moltissimo a portarlo avanti quotidianamente”.

Ti sarà sicuramente capitato di ricevere critiche. Come affronti questa situazione con i tuoi clienti?

“Le critiche capitano. Il problema principale è che chi ama il suo lavoro come faccio io tende a mettere tutto se stesso in quello che fa, trasponendo parte di sé. Per questo quando riceve delle critiche ne soffre. Negli anni ho imparato a assorbirle in maniera più razionale, distinguendo fra obiettività e soggettività. Questo mi aiuta molto a prendere quelle costruttive e fare semplicemente un gran sorriso, annuendo, a chi critica solo per il gusto di farlo”.

Il tuo nuovo programma su Gambero Rosso Tv, “L’appartam3nto”, è un format fresco, nuovo, divertente. Come è nata l’idea?

“L’appartam3nto è un format nato durante la quarantena. Mi sono ritrovato durante il lockdown a essere ospitato da Buba, un amico che ha un B&B. Come nostro vicino di casa avevamo Giovanni Rasoti, video maker ed ex maitre di Essenziale. Passavamo la maggior parte del tempo insieme, cucinando e assaggiando vini. Un giorno Bianca Perugia, responsabile del canale, mi ha chiesto di fare alcuni video. A quel punto le ho proposto di mettere su un progetto con i miei vicini: Buba avrebbe imparato a cucinare, io avrei imparato qualcosa sui vini, Giovanni avrebbe ripreso. Il format è una sorta di sitcom in cui i protagonisti, due coinquilini, imparano a conoscersi cucinando e prendendosi in giro. Ogni puntata ha tre ricette in cui cerco di riusare gli stessi ingredienti e Buba nel frattempo sboccia…”

Simone Cipriani e Buba
Simone Cipriani e Buba protagonisti de “L’Appartam3nto”

Tu sei un cuoco ristoratore e uno chef della Tv, quali differenze e quali analogie ritrovi nei due mondi nei quali lavori?

“Ormai sono quattro anni che coniugo le cose. L’ho sempre evitato, non mi è mai piaciuto il ruolo degli chef in tv. Non avrei mai pensato di ritrovarmici, ma presto ho capito che quello che registro può arrivare a tante persone e questo può aiutarmi a condividere il mio pensiero, ad alleggerire la mia figura e far stare bene. Le stesse cose che cerco quando presento un piatto ad un ospite”.

Com’è la comunicazione del cibo oggi in Italia? Come la vorresti se potessi scegliere tu?

“C’è tanta concorrenza a bassi livelli. Più si va in alto invece, cercando qualità, e più è facile concorrere: quegli sforzi di costanza che la maggior parte non vuole fare, se fatti, fanno la differenza. Io ho deciso, finché riuscirò a farlo, di comunicare me stesso e il mio ristorante da solo. Questo mi aiuta molto perché ho sempre cercato di essere diretto, me stesso. E chi meglio di me per farlo? Dalla comunicazione sul food vorrei più schiettezza, forse brutalità, meno costruzione e più realtà, ‘alla fine del giorno è solo cibo’?. (una citazione di Marco Pier White, famoso per “The devil and the kitchen”). Certo che no, non è solo cibo. Comunicare un progetto e le sue anime e arrivare al pubblico: questo l’obiettivo. Il mio tempo lo investo”.

Diventare chef oggi. Cosa è cambiato negli ultimi anni?

“Rispetto a quando ho iniziato io oggi è abbastanza diverso il percorso che fanno gli aspiranti chef. Mia mamma non voleva che facessi il cuoco. Ho conosciuto quel mondo a livello emozionale, solo dopo a livello di prodotti. Oggi non c’è quel trasporto perché uno non si immagina i pirati, ma uno si immagina Cracco con la Porsche sotto al culo. Il cuoco non è quello, è uno che si fa il culo tutto il giorno e anche Cracco se l’è fatto, prima di arrivare dov’è ora! Se sei pronto a rinunciare allora sei pronto a fare questo lavoro. Continua ad essere ancora un lavoraccio dove se non hai passione non fai nulla”.

La Tv è responsabile di questa “distorsione”?

“Il cuoco in tv ce l’hanno mostrato come un personaggio da copertina, ma non è così. Il nostro lavoro è fatto di prove di forza. Io cerco di sdrammatizzare in contrapposizione a quello che ci mostrano ora in Tv. Faccio vedere che sono una persona normale che fa il suo lavoro, normale ed eccezionale, allo stesso tempo. Ci vuole amore, perché ti porta a fare sforzi più grandi rispetto alla media. Senza quello non fai niente”.

Vorresti lasciare un messaggio a tutti gli aspiranti cuochi che sognano una carriera come la tua?

“Non è tutto figo come appare, ci vuole il fegato per fare questo lavoro. Bisogna avere resilienza e determinazione, essere in grado di azzerarsi per anni per, forse, un giorno arrivare a dire la nostra. Non ci saranno amici, fidanzate, sabati sera, natali, pasque e capodanni per un bel po’. Se siete ancora convinti nonostante questo… Fatelo!!!”