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L’altra faccia del grappolo

L’altra faccia del grappolo

C. Mazzetti e l’eccellenza dei distillati italiani Un tempo era considerata un mezzo artigianale con cui i contadini del nord Italia si scaldavano nelle giornate invernali. Con il tempo, però, la grappa si è ritagliata un’identità forte e ha trovato, in alcune sue declinazioni, una dimensione di lusso che ne fa un prodotto ricercato, di alto spessore enogastronomico e culturale. Lo conferma a Luxgallery Cesare Mazzetti, presidente dell’Istituto italiano grappa.

C’è un'”alta gamma” per la grappa italiana?
Oggi esiste eccome, anche se in origine la grappa non era nata come un prodotto di nicchia e di alta gamma. Una esclusività testimoniata anche dalla quantità annuale di bottiglie prodotte in Italia, circa 40 milioni, minima se ripartita tra le 136 distillerie che operano nel nostro Paese e se comparata, per esempio, con la produzione vinicola.

In che direzione va il mercato italiano? Si punta all’eccellenza?
Sul totale della grappa che si distilla, c’è una buona parte venduta con un prezzo adeguato a un prodotto di alta gamma, con un’immagine privilegiata: si tratta di distillati curati qualitativamente, ben invecchiati, venduti con un packaging curato e di valore. E si è anche cambiato un po’ rispetto al passato, quando si commercializzavano bottiglie esteticamente sofisticate, di vetro soffiato in tutte le fogge, che contenevano però un prodotto di qualità ordinaria se non mediocre. Si privilegiava il contenitore rispetto al contenuto mentre oggi, per le grappe di alto livello, abbiamo bottiglie in cristallo, preziose ma non esagerate, che racchiudono un prodotto di assoluto valore.

Quindi si cresce…
Il mercato è stato in leggera ma costante crescita per circa un decennio, tuttavia l’anno scorso abbiamo registrato un calo, che pare confermato anche quest’anno. Si parla di un 3-4% in meno. Crescono le grappe di alta gamma e scendono quelle di qualità più bassa; forse perché è un trend tipico nei periodi di crisi, quando si allarga la forbice tra chi ha e chi ha meno; forse per seguire un modo di frequentare l’alcol più “salutistico”: bere meno ma bere meglio.

E all’estero?
Purtroppo soffriamo di un retaggio antico, che vedeva la grappa come un prdotto rude ed economico e come tale è rimasto nella percezione di molti stranieri. Un altro aspetto che penalizza la grappa all’estero è il fatto che è poco mixabile, si presta poco al cocktail, di gran lunga in cima alle preferenze del bere “straniero”. Tutto questo però non impedisce alla grappa italiana di farsi largo al di fuori dei nostri confini. Ultimamente, i nostri prodotti si sono fatti “ambasciatori” del gusto presso i ristoranti italiani di alta gamma; specialmente nei locali più esclusivi di Regno Unito, Usa e Germania, la presenza e l’apprezzamento per la grappa stanno crescendo. Per esempio, uno dei bar dell’hotel Intercontinental di San Francisco, aperto di recente, è stato chiamato Grappa e vi si servono tanti tipi di grappa italiana. Hanno anche una esposizione di bottiglie molto belle e hanno creato dei giochi di luce sfruttando il cristallo delle bottiglie e la trasparenza del distillato. Inoltre, alle sfilate di Los Angeles dello scorso anno, era stato creato un “grappa lounge” a cura dell’Ice, un angolo relax dove erano serviti grappe e vini. Sono tutte iniziative che servono a legare un certo tipo di grappa al mondo e al concetto di lusso e fashion.

Quali sono i mercati più dinamici?
La Germania è un mercato molto dinamico, c’è una grande crescita negli Usa, una buona tenuta in Australia, dove però, per alla forte presenza dei nostri immigrati, siamo fermi a un concetto di grappa “vecchio” e meno raffinato. Ultimamente ci sono buone aperture in Giappone, dove però ci sono problemi distributivi.

Che profilo ha il consumatore di grappa? Cerca l’esclusività o si accontenta?
Mentre un tempo il consumatore tipo aveva un’età media sopra ai 50 anni e un reddito medio-basso, negli ultimi 10 anni si è passati a una media dai 30 anni in su, con grado di cultura e profilo socioeconomico medio-alto; è amante della buona tavola ed è in forte crescita la componente femminile.

Come mai?
Forse perché molte grappe si sono svecchiate, sono cresciute quelle da meditazione che incontrano di più il gusto delle donne.

Quanta grappa “di lusso” si produce in Italia?
L’alta gamma corrisponde circa al 40% della produzione italiana annuale, grazie a uno spostamento verso le monovitigno, le più richieste e pregiate. Non è un caso che, per esempio, in Piemonte vadano molto le grappe di barolo e moscato. Si punta maggiormente su grappe aromatiche e invecchiate, le più apprezzate e difficili da produrre.

Quali le realtà di eccellenza?
Detto che il grosso dei volumi viene dal Veneto, qualitativamente credo non esista una specifica location ma alcuni singoli spot in determinate regioni, dove ci sono sistemi innovativi che danno origine a prodotti otttimi. Penso ad alcune realtà del Trentino-Alto Adige, con prodotti molto aromatici e floreali, o del Piemonte, con distillati eccezionalmente morbidi.

Nel passaggio dall’artigianalità all’industria, la grappa è riuscita a mantenere una sua identità?
In realtà in Italia esistono solo due industrie “vere”, peraltro di dimensioni modeste, mentre tutte le altre rimangono produzioni artigiane. E questo aiuta non poco a mantenere un’identità definita e un assoluto livello di qualità per i nostri prodotti.

Davide Passoni

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