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Azuma, l’artista e l’uomo

Azuma, l’artista e l’uomo

Secondo appuntamento con lo scultore giapponese
Proseguiamo la nostra chiacchierata con Kengiro Azuma, e approfondiamo la sua poetica, scrutando anche il suo punto di vista sul sistema dell’arte internazionale contemporaneo.

Come nasce una Sua opera?
La mia opera nasce dal pensiero. Quando ho perso la Fede ho vissuto un’esperienza spaventosa, una grande sofferenza. La mia parte invisibile, l’Amore, la Passione, l’Anima si è staccata dalla mia parte visibile, carne, ossa, sangue. La mia Arte nasce dal tentativo di rendere visibile l’Invisibile che voglio esprimere per l’Uomo: quello che desidero, sogno, immagino, voglio trasformarlo in bronzo, legno, pietra. Anche il poeta rende l’invisibile visibile con la scrittura: sogna, mette le parole sulla carta. Ma lo scultore va oltre: cerca di realizzare toccabili il passato, i pensieri, l’esperienza, realizzandoli nella forma. Per questo il mestiere dello scultore è mille volte più difficile di quello del poeta. TUTTO quello che viene pensato, come una nuvola, l’aria, deve essere trasformato in una forma impossibile, che non esiste  e non ha una forma certa, come nella nebbia. È una ricerca. Un giorno faccio una cosa, poi il giorno dopo un’altra: prove in continuazione. Con questa Teoria continua la mia vita e nascono il coraggio di fare e la spinta forte verso il grande mistero della Vita. Questo è il tema della mia ricerca: non so cosa sia giusto o no. Da questo so che non esiste una cosa certa e che il coraggio sta nella ricerca stessa di cosa vuol dire vivere o no, in pace e in guerra. Sì, perché è tutto ciclico: senza guerra non esiste pace e la pace porta con sé i semi della guerra. Perciò sappiamo tutto ma non sappiamo nulla. Dopo la prima bomba si Hiroshima c’è stata la seconda e siamo migliorati, ma non c’è fine, ci sono sempre più armi. Come è possibile che siamo così spaventosamente stupidi?

E qual è per Lei la sua opera più riuscita?
Mu, che vuol dire, Vuoto, del 1960. Io propongo il vuoto e tocco il vuoto. Sono due lastre di bronzo, e in mezzo c’è il vuoto. Sono le impronte dei miei avi, di mio nonno, mio padre, mie, di mio figlio, di suo figlio…
Come raccontavo a proposito della mia disperazione, quando è crollata la Fede: la parte invisibile si è staccata dal materiale ma è rimasta molto più importante. L’anima, lo spirito, la passione, l’amore. Senza la materia non posso esprimere questi pensieri, e da qui nascono le sculture. Come un giorno di sole:  non esisterebbe senza il giorno di pioggia. E così anche il negativo ha lo stesso valore del positivo. La vita materiale con il tempo sparisce. Noi abbiamo l’istinto a mantenere l’Io, il mio: l’uomo ha creato i Musei per conservare il più a lungo possibile. Ma a che servono se cade una bomba atomica, uno tsunami, un tifone? Spariscono. Rimane il ricordo, l’Invisibile. Per fermare il ricordo ci vogliono idea, passione, coraggio, amore. Così come la Goccia d’Acqua: è vita. Nasce in un attimo e sparisce in un attimo. Non ne possiamo vedere la forma, cade dalla grondaia e sparisce subito, ma torna con il ciclo cielo-terra, come l’uomo, che aspira al desidero verso l’alto e poi quando la materia finisce il suo corpo torna sotto la terra. La Goccia ha una forma perfetta che nasce perfetta in natura e va verso il centro naturale della Terra. Come l’Idea, esiste ma non esiste. Quindi, più che guardare la forma, bisogna “ascoltare il suono che continua eterno”. Da qui la mia scultura sul desiderio. Con l’esperienza voglio creare qualcosa di bello che resista per qualsiasi epoca.

E cosa ne pensa dei suoi colleghi in mostra alla Biennale o a Art Basel? Quale delle due è una vetrina migliore?
La vita è ambiguità e contraddizione: l’uomo serio e onesto rimane indietro mentre il furbo va avanti. Meglio la verità o le bugie? Con il bello desidero l’immortalità come scultore, non come le provocazioni della Biennale, per fare qualcosa così da diventare famoso. Ma quando qualcosa è brutto e negativo penetra nella società, e quello che lavora seriamente rimane sotto terra. Ma è una propria scelta e sono buone vetrine. Il cattivo non è da buttare al 100% e filosoficamente ha valore perché c’è il buono: perciò hanno lo stesso peso. Questa è anche la filosofia Zen che mi ha colpito nella vita. Come i funghi velenosi e i porcini: c’è arte velenosa e arte buona.  Quanti tomi e specialisti per riconoscere il cattivo, ma poi c’è la scelta di artisti e visitatori. Se nella guerra ci sono semi di pace, in tempo di pace ci sono semi guerra, non finirà mai. Speriamo solo che la guerra finisca il più in fretta possibile.

Meglio esporre personalmente o essere aiutati da una galleria?
Il gallerista fa il suo mestiere ed è giusto. È come una fabbrica di scarpe. Il produttore è l’artista poi ci vuole un rappresentante per vendere e l’artista fa vendere attraverso il gallerista. Una volta c’era l’esclusività: l’artista aveva un contratto di esclusiva con una galleria che garantiva e a cui interessava vendere a musei o a collezionisti. Un bel meccanismo che funzionava molto bene negli Anni ’50-’60, quando lavoravo con la Galleria Toninelli in via Sant’Andrea. Abbiamo lavorato insieme per 9 anni e dopo Brera mi ha venduto tutto un giorno prima dell’inaugurazione della mia mostra. Ogni mese pagava e se il gallerista pensava alla vendita, io potevo stare concentrato solo sul mio lavoro. Un meccanismo che oggi è crollato. Negli Anni ’50 artisti e galleristi lavoravano seriamente, c’erano meno scuole e maggiore tranquillità ad acquistare cose buone a prezzi giusti. Oggi certi artisti sono all’80% commercianti, organizzatori delle proprie mostre, sono furbi, combinano con la politica e i galleristi seri vivono a fatica. Oggi continuano a fondare scuole a scopo commerciale. Io sono da sempre tranquillo, indipendente, preferisco stare nascosto, anche se collaboro con la Galleria Lorenzelli, con Matteo e prima con suo padre Bruno. Avevo galleristi in Olanda, Germania, Svizzera , Giappone ed era un bene per partire. Oggi sono preoccupato per i giovani.

La sua è una storia avvincente, di grandi successi. Ha qualche rimpianto?
Ho vissuto con la mia esperienza. Il mio punto di partenza è stata la perdita della Fede. Una partenza particolare rispetto agli altri artisti, un mistero. La mia è una ricerca sulla vita e ho vissuto con tutta la forza, la volontà, la passione, non potevo fare meno di così. A 83 anni ho passione, coraggio per continuare a lavorare e cercare di esprimermi, anche se non capito niente, bene. La vita è come il Mu del 1974, una grande colonna  di desideri  raggiunti e nuovi con i quali convivere in armonia. La mia lezione e la mia responsabilità ai giovani è questa: dare loro coraggio di fare, di esprimersi, di presentare, proporre, così come i miei antenati con me.

Paola Perfetti