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Tepa Sport tra passato e futuro

Tepa Sport tra passato e futuro

Alessandro Dell’Angelo

Chi negli Anni ’70 portava i pantaloni corti e passava i pomeriggi d’estate a rincorrere un pallone, spesso lo faceva con ai piedi una sola marca di scarpe, Tepa Sport. Un mito dei “Seventies” italiani, portato anche dai calciatori più famosi dell’epoca, da Facchetti a Gigi Riva, e che, dopo decenni di limbo, è tornato ad affacciarsi con decisione nel mondo della calzatura sportiva e dello sportswear. Alessandro Dell’Angelo, 40 anni, amministratore delegato Tepa Sport, racconta la storia del marchio e la sua resurrezione.

Le origini di Tepa Sport…
Tepa Sport nasce da una fabbrica di Rudiano, in provincia di Brescia, da tre fratelli calzolai, i fratelli Riva, che cominciarono facendo i ribattini e che nel 1952, dopo la guerra, aprirono una loro fabbrica. Un marchio che ha preso quota rapidamente, arrivando negli Anni ’70 a essere uno dei marchi principali nel panorama italiano delle calzature sportive.

Dove non erano molti quelli che oggi si chiamano “player”…
C’erano Adidas, Puma, Tepa Sport e pochi altri, come Valsport, Soldini e Pantofoladoro, che però non erano realtà industrializzate come le prime. Di conseguenza, il volume che riusciva a garantire Tepa rispetto agli altri era diverso, tanto che se si sfogliano gli album Panini dei calciatori dell’epoca si può vedere che gli atleti calzavano principalmente queste 3-4 marche. Erano gli anni d’oro di Tepa Sport. Poi, negli Anni ’80, con l’arrivo di Nike che importava prodotti realizzati in Cina, Tepa Sport ha ceduto sul fronte dei prezzi. I fratelli Riva, poi, avevano ormai una certa “carriera” e non hanno avuto la forza di reinventarsi da capo; così la società chiuse, ma in maniera pulita, lasciando intatta l’immagine positiva del marchio che era riuscita a creare.

Si parla della metà degli Anni ’80?
Sì, ’84-’85. Da allora a oggi non è successo molto. I figli dei Riva hanno fatto qualche tentativo di rivitalizzare il marchio proponendo alcuni prodotti finché, qualche anno fa, il brand è stato dato in licenza a tre imprenditori lombardi che, giocando sul fatto passionale, volevano ricostruire qualcosa; hanno creato una scarpa realizzata nelle Marche, molto pregiata ma troppo costosa, non nell’anima di Tepa Sport, che era un prodotto popolare. Il brand è andato avanti due o tre anni così, senza una vera e propria cultura “sportiva” perché questi imprenditori, in realtà, facevano tutt’altro e non avevano un’esperienza consolidata nel settore calzaturiero e sportivo.

Poi arriva la rinascita…
Io e altri manager, che abbiamo passato un decennio nel management di Puma quando è stata aperta la filiale italiana nel 1996, a un certo punto abbiamo pensato di realizzare qualcosa per conto nostro. Per farlo avevamo bisogno di un marchio connotato fortemente nel calcio, per sfruttare la grande passione che lo circonda, e che desse la possibilità di creare una scarpa sportiva e per il tempo libero. Ecco quindi Tepa: un po’ per un fatto passionale, perché chi ha tra i 38 e i 50 anni ha ricordi molto forti e positivi di questo marchio italiano, un po’ perché era il marchio perfetto per avere una credibilità sulla calzatura ed entrare alla grande nel mondo dello sport.

Detto, fatto…
Siamo ripartiti dalle vere origini della Tepa Sport, il calcio, con scarpe belle, curate e tradizionali, progettate in Italia e realizzate all’estero. Collaboriamo con progettisti italiani ma facciamo produrre all’estero per poter avere prezzi di mercato giusti. Tepa Sport ha come obiettivo quello di tornare a essere un prodotto accessibile, con caratteristiche belle e positive. Ci proponiamo sia per i nostalgici che per i giovani; questi ultimi sono stati una soprpesa: data la natura fresca e colorata del marchio Tepa Sport c’è stata subito una buona risposta dalla fascia giovane verso i nostri prodotti. È un momento dove molti stanno recuperando progetti storici da attualizzare: noi siamo nel posto giusto al momento giusto.

Qual è attualmente il mercato di Tepa Sport?
Dobbiamo creare delle basi su cui appoggiarci. Le costruiamo in Italia, ma riteniamo fondamentale che il marchio vada anche all’estero, dove ai tempi d’oro era molto riconosciuto grazie all’appeal del made in Italy; è nostra intenzione portarlo fuori dall’Italia, ma con misura e cautela, perché gli esempi di posizionamenti all’estero finiti male non mancano.

Pensate di tornare presto nel calcio di alto livello, magari con qualche sponsorizzazione tecnica?
Sì, pensiamo di ritornare e di creare una partnership vera; spinti dalla passione per il calcio ci piacerebbe avere un top team da supportare. Dobbiamo tenere presente però che il calcio, a certi livelli, richiede investimenti forti che a volte, a mio avviso, comportano anche rischi eccessivi.

Eventuali testimonial?
Oggi abbiamo una schiera di giocatori fantastici che militano nelle serie minori e che usano le nostre scarpe; sono tutti molto soddisfatti e coinvolti a dare suggerimenti e vivere il prodotto in modo tranquillo, senza pensare a esso come fonte di guadagno.

Nel futuro di Tepa più sport o più fashion?
La natura sportiva di Tepa rimarrà, con poche virate verso il fashion, soprattutto perché vogliamo continuare a portare nella vita di tutti i giorni filosofie e soluzioni dello sport praticato, per cui l’anima sportiva è imprescindibile.

Avete in programma di aprire dei monomarca?
Pensiamo a un flagship store a Roma e uno a Milano, ma ancora il progetto deve essere definito.

Quante Tepa aveva da ragazzino?
Tante, un po’ per tutti i gusti: per andare a scuola, per giocare a calcio, credo come molti della nostra generazione.

Davide Passoni