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Messaggio pubblicitario

Le regole del lusso

Le regole del lusso

La pubblicità dei brand esclusiviQuando sfogliamo le riviste di moda e di costume prima di riuscire ad arrivare ad una qualche sorta di contenuto editoriale siamo “costretti” a vedere una ventina se non una trentina di pagine completamente dedicate alla pubblicità. Questa abbuffata di comunicazione pubblicitaria ci dà l’impressione di essere omogenea, di avere tutta il medesimo approccio stilistico, sia che si tratti di profumi che di occhiali, di gioielli o di abbigliamento.

Ma è proprio così? Di fronte a stili comunicativi apparentemente indifferenziati, proviamo ad analizzare più in profondità riprendendo le riflessioni di alcuni studiosi del settore: possiamo individuare degli elementi che ci aiutino a cogliere, invece, delle differenze tra queste immagini che ci sembrano interscambiabili?

Iniziamo da una delle anti-leggi di Kapferer e Bastien “Don’t use stars in your advertising”: se all’apparenza può sembrare un imperativo provocatorio, in veritĂ  non vuole essere una proibizione all’uso del testimonial, ma un invito a non utilizzare personaggi pubblici solo per la loro notorietĂ . Il ragionamento sottostante si basa sul rapporto di forza che intercorre tra la marca ed il cliente – e, di riflesso, il testimonial: secondo gli autori il brand deve sempre essere dominante, deve esercitare un’autoritĂ  non dissimile da quella che il genitore ha nei confronti del proprio figlio, sul quale prevale senza prevaricare e per il quale ha rispetto.

La scelta di un volto conosciuto, come può essere una modella à la page o un personaggio televisivo, potrebbe comportare il rischio di creare un’associazione personaggio/prodotto impropria se incapace di costruire e di condividere un profilo valoriale coerente con la marca sponsorizzata, distogliendo centralità al prodotto per creare attenzionalità unicamente sulla popolarità del personaggio. L’annuncio rischierebbe così di diventare pubblicità per il testimonial, offuscando la centralità del brand. Diverso invece se invece il personaggio è noto per quanto ha concretamente fatto di socialmente significativo, condiviso, apprezzato e per lo stile che ha usato nel rapportarsi con l’opinione pubblica. In questo caso l’azienda sceglie un personaggio pubblico capace di incarnare i valori del brand, definito in gergo pubblicitario un brand ambassador.  Rimane comunque sotteso che dietro l’enunciazione di Kapferer e Bastien c’è anche una convinzione da molti comunicatori ancora pienamente condivisa: i veri prodotti di lusso non hanno bisogno di altro per farsi notare. Potrebbe essere sufficiente un’elegante visualizzazione del prodotto per trasferire al lettore tutta la magnificenza e il fascino di quanto pubblicizzato.

Un altro autore che ci può aiutare in questo percorso è Berndard Dubois, che ha interpretato il processo di maggiore accessibilità dei brand di lusso come un passaggio da “ordinary products for extraordinary people” a “extraordinary products for ordinary people”. Una frase, strettamente legata a quella precedente, che potrebbe essere interpretata come una vera e propria lezione di comunicazione: chi vuole raccontare l’anima straordinaria dei propri prodotti, dovrebbe affidarsi a personalità straordinarie in quanto le uniche credibili nel saper vivere il loro rapporto con il brand come un rapporto paritetico, di quotidianità. Sono le persone più ordinarie che subiscono e si sottomettono al fascino del lusso, utilizzandolo per imporre il loro status, ma incapaci di viverlo in un rapporto paritetico. Quindi, leggiamo noi, se devi scegliere un ambasciatore della tua marca, scegli una persona riconosciuta per la sua unicità rappresentata in una scena di vita quotidiana: sarà il mix vincente per rafforzare l’anima del brand .

Riorganizziamo liberamente i contenuti che abbiamo appena visto, possiamo giungere a questa classificazione:

  1. I veri oggetti di lusso non hanno bisogno di nient’altro oltre che di loro stessi per affermare la propria unicità.
  2. I prodotti di lusso esclusivi, “ordinary products for extraordinary people”, possono avere dei brand ambassador che mostrino di vivere il prodotto nella loro vita quotidiana e nel contesto che li ha resi personaggi unici, in una condizione di dignità paritetica con la marca.
  3. I prodotti flagship di un lusso maggiormente democratico, diciamo le fasce più accessibili di un luxury brand (accessori e profumi ad esempio), oppure i brand che usano i codici comunicativi del lusso (anche se intrinsecamente non sono prodotti di lusso), sono gli unici ad essere autorizzati all’uso di modelli o volti conosciuti semplicemente accostati ai brand con lo scopo di trasferire la loro notorietà ad un prodotto che sul mercato potrebbe soffrire una scarsa differenziazione dai prodotti competitor.

Risfogliamo le stesse riviste: possiamo riscontrare questa classificazione?

Troviamo:
Campagne di orologi e gioielli di altissima gamma dove campeggia unicamente il prodotto, in semplici ambientazioni con una breve headline d’effetto. Senza bisogno di altro, il brand fa diventare portavoce della sua esclusività unicamente la foto di un oggetto classicamente figlio di eredità artigianali, materiali preziosi e sapienza estetica. IWC, Cartier, Tiffany, Patek Philippe sono campagne connotate da sintesi e purezza.

Prodotti di lusso che vedono la compartecipazioni di testimonial d’eccezione rappresentati in momenti di vita quotidiana, spesso all’opera in quelle attività che li hanno resi famosi. Ecco il fascino di una Annie Leibovitz nel suo studio fotografico con Mikhail Baryshnikov per Louis Vuitton, e l’intuizione di una Persol che ha rinnovato anche per il 2010 il suo impegno con numerosi artisti internazionali rappresentandoli nell’ultima campagna stampa all’opera con i loro strumenti di lavoro.

Prodotti unicamente indossati o inseriti graficamente accanto al modello, senza l’uso di un particolare contesto come per il caso dell’ultima campagna Breil o dei gioielli Guess.

E’ ovvio che non siamo di fronte ad una classificazione rigida e le eccezioni sono all’ordine del giorno. Ma è indubbio che le riflessioni dei teorici possano essere un validissimo aiuto per trovare una direzione nel mare pubblicitario/fotografico in cui ci troviamo immersi ogni volta che apriamo una rivista.

Marco De Angeli, ABC,e Lisa Epaule