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Intervista a Mario De Biasi

Intervista a Mario De Biasi

Dal reportage alla fotografia astratta
Vi abbiamo parlato da qualche giorno della mostra “Mario De Biasi. Dal fotogiornalismo alla fotografia astratta”, a cura di Raffaella Ferrari, che verrà inaugurata oggi 10 settembre 2010 al Centro Culturale Candiani di Mestre.
Oltre cento fotografie vintage raccontano uno dei grandi fotografi italiani e uno dei maggiori esponenti della generazione del neorealismo, artista eclettico, sempre eccellente in ogni genere di fotografia: dal reportage sociale e di guerra, alla fotografia di viaggio e documentaristica, passando per il ritratto e la natura, fino alla fotografia astratta.

Un fotografo che intreccia la passione della macchina fotografica a quella per l’arte.
I disegni sono tutti inventati, e utilizzo tecniche diverse”. Precisa De Biasi a Luxgallery, mostrando disegni e opere recenti e non, volti, gatti, cani, farfalle, mostrando fin dall’inizio entusiasmo e passione, in una ricerca continua. “Utilizzo tutte le tecniche e i materiali, anche la plastica, il vetro di Murano, l’acrilico, la tempera, materiali di reciclo. E non ho un laboratorio o uno studio. Tutto il lavoro viene fatto sul balcone di casa”. Qui, disposti come se fossero in posa, si trovano stracci, gomma piuma, coperchi di lattine, chiudipacco, trucioli e molto altro, oggetti pronti per essere immortalati dall’obiettivo.

Come è diventato fotografo?
Sono autodidatta. La mia passione per la fotografia è nata nel 1945 in Germania, dove ero stato deportato durante la seconda Guerra Mondiale. Rientrato in Italia, ho frequentato per alcuni mesi il Circolo Fotografico Milanese. Non sono andato a bottega, come hanno fatto numerosi fotografi o artisti. Mi sono sempre documentato, prima apprendendo la tecnica poi guardando i grandi senza copiarli, facendo qualcosa di nuovo e diverso. Ad esempio, quando partecipavo ai concorsi ho fatto sempre quello che mi sentivo di fare, senza guardare ai gusti dei membri della giuria.
Nel 1953, sono entrato ad Epoca come fotoreporter. All’epoca ero radiotecnico alla Magneti Marelli e già sposato. Mi sono licenziato e ho cominciato a lavorare per la testata. Ho fatto il fotoreporter per 30 anni. Sono andato in pensione nel 1983, pur continuando a collaborare con il giornale per 15 servizi all’anno.

E ora?
Ora faccio cose che mi piacciono. Mi dedico a mostre e workshop, a cui partecipano persone di ogni età e dotati di ogni tipo di attrezzatura. Ai partecipanti viene dato un tema, poi le foto vengono proiettate per tutti e vengono commentate. Prima di fotografare bisogna avere in testa la fotografia e l’inquadratura.
Tra i progetti, c’è quello di una mostra personaggi della politica e non solo ritratti in situazioni non ufficiali. Ho quasi terminato il  libro “Mario de Biasi. Omaggio a…”, con cento nomi di artisti italiani e stranieri. In queste fotografie rappresento un pezzo di lamiera, legno o quant’altro, che assomiglia a un’opera di questi artisti, tra cui Burri e César. Non riesco a stare senza far niente. Ho sempre qualche progetto o opera da seguire.

L’esperienza della sua carriera che l’ha colpita di più?
La Rivoluzione di Budapest del 1956. Mi hanno soprannominato l’”italiano pazzo” per quel reportage. Sono stato in mezzo alla battaglia tutto il giorno e mi hanno anche ferito. Ne è nata una mostra esposta Budapest e a Reggio Emilia.

E la sua fotografia più nota?
 “Gli italiani si voltano”, in cui è ritratta di spalle una giovane Moira Orfei. È stata esposta al museo Guggenheim di New York, durante la mostra “The Italian Metamorphosis” del 1994 ed è stata utilizzata come poster della manifestazione.

Quali sono i suoi soggetti preferiti?
Ho fotografato tutto, dall’architettura, alla natura, dai ritratti all’arte. Ad esempio, ho fotografato de Chirico in tutte le fasi di creazione di una sua opera, e ho fatto lo stesso con Chagall, Carrà, Braque. Preferisco i soggetti in cui posso fare cose senza limiti, magari con fatica ma con libertà di agire.

Il luogo in cui le piacerebbe ritornare?
Ce ne sono tanti. Spesso devi prendere l’aereo del ritorno e non puoi fermarti più tempo in un luogo. Mi piace molto il Giappone, è un paese difficile da capire. Anche la Finlandia, che è diversa, lì colpiscono la natura, il silenzio. Mi ha colpito anche il Brasile. Ho fatto un libro sui cortili di Milano: ci sono angoli da scoprire e cercare. Ogni paese ha caratteristiche proprie. Per analizzarle spesso salivo sui campanili: là si ha un’idea della città che non si ha dal basso.

Caterina Varpi