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Il futuro incalza I

La calza maschile sta diventando sempre più un messaggio di stile, dotato di una straordinaria forza propulsiva per comunicare con un pizzico di autoironia

Ogni mattina, tutte le mattine del mondo, durante il rito della vestizione ripetiamo gesti che si perdono nella notte dei tempi. Quello delle calze è davvero singolare, radicalmente semplificato nel corso dei secoli perché non esiste un indumento maschile che abbia subito un tale processo di sintesi.
Nascono circa nel 600 a.C. tra le sponde del Tigri e dell’Eufrate per proteggere i piedi e per rendere il corpo più attraente ma anche per distinguere ruoli e funzioni sociali. Adottate con grande entusiasmo dai romani arrivarono fino al 1500 sottoforma di calzebrache, una sorta di calzamaglia da esibire e a cui destinare tutte le attenzioni possibili. Dalla scelta dei tessuti a quella dei colori.

Poco prima della metà del Cinquecento iniziarono a stilizzarsi diventando semplici calze lunghe dai colori meno accesi e più timidi fino alla Rivoluzione Industriale inglese che iniziò a relegarle sotto i pantaloni.

Da qui la calza moderna, non più formidabile strumento di comunicazione ma prezioso dettaglio nell’economia dell’insieme che negli ultimi dieci anni ha saputo polarizzare l’universo maschile.

Da una parte “i conservatori del calzino” che rappresentano l’ala più moderata e più frequentata, dall’altra “le avanguardie rivoluzionarie” capeggiate da tesimonial di rilievo nella cultura e nell’industria che si battono per una calza vezzosa, ironica, che possa sdrammatizzare anche il look più severo da Confindustria.
Non mettiamo in discussione la qualità, sia per il primo che per il secondo schieramento, che risulta fondamentale nella scelta, né tantomeno la lunghezza che deve arrivare fino al ginocchio (mi raccomando, niente gambaletti da uomo!!) ma da qualche anno a questa parte, stiamo assistendo ad uno spostamento dei moderati verso l’ala dei riformatori. Un modo per dire che la calza ha ancora la sua straordinaria forza propulsiva per comunicare, non si prende troppo sul serio e per la sua collocazione diventa il discreto e mai urlato messaggio di stile.
Certo, perché l’uomo, a differenza della donna che è molto più libera di esprimersi, è da sempre alla ricerca dei dettagli per distinguersi: la cravatta, la camicia, l’orologio, la scarpa e la calza. Basta poco, anzi pochissimo. Siccome oggi più che mai è forte la consapevolezza che un po’ di autoironia non guasta e il gioco dei dettagli è sempre più apprezzato, un autentico indicatore di stile e di sensibilità.

È l’Italia il vero incubatore di questo nuovo approccio: i più importanti produttori mondiali di calze di lusso si trovano nel distretto di Brescia, come il Calzificio Facenti, diretto dalle sorelle Claudia e Michela Facenti (vai all’intervista).

Di Umberto Amato

Vedi anche: Il futuro incalza II