x

x

Vai al contenuto
Messaggio pubblicitario

Silvano Lattanzi, la cultura del bello

Silvano Lattanzi, la cultura del bello

Intervista al maestro della calzoleria su misura

Silvano Lattanzi, marchio storico della tradizione calzaturiera italiana di lusso, ha celebrato la recente apertura della boutique di St. Moritz con la collezione omonima, che ha come protagonista lo stivaletto alla caviglia, declinato in raffinate versioni di ispirazione vintage ma attualizzate nelle forme e nei dettagli. Accanto a essa, Lattanzi propone per le calzature dell’autunno inverno 2010-11 un invisibile rialzo interno che, senza intaccare l’armonia della scarpa, permette a chi le indossa di guadagnare in altezza dai 3 ai 7 cm. Incuriositi da queste novità, presentate al recente Pitti Uomo 77, abbiamo incontrato Silvano Lattanzi che a Luxgallery ha illustrato la sua particolare visione del lusso, del made in Italy, dell’artigianalità. “Diciamolo subito – ha esordito –: Lattanzi rifiuta il lusso inteso come ostentazione del superfluo, dimostrazione di essere solo ricchi, il lusso che non ha la prospettiva di essere un investimento nel tempo. Per noi il lusso è spendere bene il denaro. Anche chi è diventato ricco ha sudato i suoi soldi e noi che non siamo nati ricchi, anche se non ci è mancato mai nulla, sappiamo quanto costa fatica accumulare denaro: allora perché sprecarlo per cose effimere, per cose che non ti accompagnano per tutta la vita?“.

Appunto, perché?
Per mancanza di una cultura del bello. Per noi, oggi, il lusso non è altro che la possibilità di investire in un oggetto talmente prezioso che anche tra 10, 15, 30 anni potrà ancora essere utilizzato dal proprietario, dai figli, dai nipoti. Il lusso per noi è una vecchia scarpa di Gatto indossata da un figlio o da un nipote, allargata o ristretta qualora non fosse della misura precisa; è la nipote che riesce a usare una vecchia Kelly di Hermès o una borsa di coccodrillo di Guccio Gucci della nonna, realizzate quando erano davvero in pochi a creare oggetti così preziosi. Questa è la prima considerazione che ci viene in mente in un momento in cui non esiste più la cura maniacale degli oggetti.

Per quale motivo si è persa?
Perché da parte di aziende e operatori, oltre che dal clima creato dalla crisi finanziaria, è stato fatto passare il messaggio che tutto ciò che è lusso è sprecato, è superfluo. E chi lo dice? Siamo riusciti a far passare il messaggio che il vino nel brick è uno dei migliori d’Italia: questa è la decadenza, che altro non è che l’anticamera della miseria. Non lo possiamo accettare, per rispetto a un mondo di viticultori che fanno del vino un’arte.

Come far in modo, allora, che anche l’arte di Lattanzi resista?
Crisi o non crisi, Lattanzi deve fare in modo che ogni giorno, nella semplicità, aggiunga preziosità ai suoi oggetti, tramite la ricerca di materiali, di lavorazioni, di stile, di innovazione, di modernità. Chi dice che un ragazzo di 30 anni non può usare una Lattanzi? Chi dice che un ragazzo a 30 anni non è ricco? Lo può essere di famiglia o possedere un’azienda, l’importante è che guadagni bene e che abbia dentro di sé il culto del bello. Perché non può pensare che quello che spende oggi per Lattanzi, tra 20 anni, magari in un momento di crisi, non possa trovarselo utile? Personalmente riciclo cose di 20 anni fa, come le giacche di scuola napoletana in cashmere, i cappotti in cashmere, le camicie che si possono attualizzare cambiando polsini e colletti. È giusto così, perché sono capi che avevano valore quando li ho acquistati; allora mi dicevano che ero uno sprecone, ma ho fatto un investimento in questi oggetti, cosa che mi auguro avvenga anche per i prodotti di Silvano Lattanzi.

Quali sviluppi per il brand dopo l’apertura della boutique di St. Moritz?
Abbiamo in cantiere un progetto importante per Dubai che stiamo valutando e che sarà uno dei nostri prossimi obiettivi. Per ora ci stiamo concentrando solamente sull’ottimizzazione della clientela che abbiamo tramite le nostre 10 boutique monomarca. Un’attenzione maniacale verso questo tipo di consumatore che ci ha permesso di arrivare dove siamo oggi.

Un consumatore affezionato, immaginiamo…
Affezionato, esigentissimo e molto collaborativo. Le nostre scarpe nascono perché frutto della passione del produttore ma anche delle idee del consumatore, che ci dice quello che vuole. Solo così possiamo creare oggetti speciali.

Che tipo di clientela avete? Nazionale, internazionale?
Abbiamo una buona clientela italiana, personaggi esclusivi, non sono tantissimi. Poiché il bello e l’amore per le cose speciali non hanno confine, li troviamo in clienti cinesi al giapponesi americani, inglesi… Non c’è un mercato specifico più forte di altri, gli amanti del bello sono in tutto il mondo.

Davide Passoni