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Il mito dei cantieri Riva

Il mito dei cantieri Riva

In collaborazione con B&G Business & GentlemenDagli Stati Uniti all’Italia. Prosegue la storia della nautica a motore che vede protagonista in questo speciale il cantiere navale Riva passato dal costruire barche da carico a cabinati di prestigio

Se nel 1884, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, sulle sponde del lago St. Clair (nello stato americano del Michigan) mister Christopher Columbus Smith varava la sua prima imbarcazione da diporto a motore, dando così vita al primo cantiere navale a vocazione diportistica, già da qualche anno, sulle sponde di un altro lago, quello di Iseo, nella cittadina di Sarnico, in provincia di Bergamo, un altro precursore della nautica da diporto, tale Ernesto Riva, sposato con Carolina Malighetti, nel suo piccolo cantiere attendeva alla costruzione di barche da carico, da pesca e da passeggio.

L’attività crebbe e in breve tempo la piccola azienda, avviata dal papà Pietro (che era giunto sul lago di Iseo, quasi per caso provenendo da Lario, in provincia di Como, perché chiamato da un notabile locale, tale signor Giacinto Carena da Sarnico, che aveva avuto modo di apprezzarne l’arte di calafato e gli aveva quindi proposto di trasferirsi per provvedere alla riparazione di due imbarcazioni danneggiate da un fortunale) che portò a dieci il numero dei dipendenti ed accanto alla attività di costruzione di imbarcazioni da diporto, Ernesto, certamente intraprendente e versato negli affari, affiancò una attività che oggi definiremmo di “chartering”.

Era accaduto che un armatore di Como avesse commissionato al cantiere Riva la progettazione e la costruzione di un battello a vapore per venticinque passeggeri ritenendo che i piaceri della crociera lacustre non dovessero essere privilegio soltanto di coloro che fossero economicamente in condizione di permettersi di possedere una imbarcazione propria, ma anche di coloro che volessero noleggiare un battello. L’iniziativa piacque ad Ernesto che, dopo aver consegnato l’esemplare al committente, decise di costruirne un gemello per dare vita ad un’attività di noleggio anche sul lago di Iseo.

L’iniziativa ebbe successo e coadiuvato dalla moglie Carolina, abile cuoca, diede vita anche ad un punto di ristoro per i gitanti in transito. Le guerre e le pestilenze dei primi del Novecento priveranno Ernesto dei suoi figli lasciandogli solo Serafino, il terzogenito, che proseguirà l’attività di famiglia, la cantieristica navale, dove prepotentemente aveva ormai fatto irruzione il motore a scoppio. Risalgono agli inizi del ventesimo secolo i primi record di velocità e Serafino, nel suo cantiere, fabbrica anche imbarcazioni da corsa con le quali si cimenta anche personalmente.

Nel 1934 un’imbarcazione Riva, equipaggiata con un motore BPM da un litro e mezzo, si aggiudicherà il record mondiale di velocità di categoria superando i 107 km/h, quando il suo unico figlio maschio, Carlo, aveva appena compiuto dodici anni. Il cantiere Riva entrava nella storia della nautica non solo italiana.

Come sempre accade, dall’esperienza sportiva all’applicazione industriale il passo è breve e nascono così, come era accaduto negli Stati Uniti di America, i primi motoscafi da diporto. Ma è con il secondo dopoguerra, negli anni della ricostruzione, che il cantiere Riva si colloca, con rapida progressione, al vertice del diporto nautico divenendo una icona irrinunciabile per il jet-set mondiale. E’ da dire, però, che gli inizi furono piuttosto tribolati, il credito scarseggiava e le garanzie erano poche ma lo spirito imprenditoriale, la passione ed il talento, probabilmente uniti ad una buona dose di fortuna, non ultima l’incontro con l’amico Gino Gervasoni, pure di Sarnico, che sposerà la sorella di Carlo, Dafne, consentirono al giovane Carlo Riva di divenire il demiurgo della nautica da diporto eguagliando e superando la fama ed il prestigio del cantiere statunitense Chris Craft , unico autorevole concorrente nella gamma dei “runabout” di piccolo cabottaggio.

Se da un lato il cantiere del Michigan annoverava tra i suoi estimatori, come si è già ricordato, personaggi del calibro di Dean Martin, Katharine Hepburn, Frank Sinatra, Elvis Presley, tanto per citare i più noti, va detto che il cantiere Riva poteva annoverare tra i propri estimatori e clienti Sofia Loren, Saddrudin Aga Kan, Roger Vadim, Elizabeth Taylor e Richard Burton, Brigitte Bardot, Silvana Mangano. Siamo negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, dove la vita mondana si consumava tra via Veneto a Roma e la costa Azzurra. Sono gli anni della “dolce vita”. Sono gli anni in cui nasce il “Tritone”, splendido motoscafo dalle linee superbe ed ineguagliabili, palcoscenico di attrici affermate e sogno di giovani talenti.

La gamma dei motoscafi Riva si infoltisce e così, accanto ai piccoli motoscafi “Scoiattolo” e “Sebino” ecco nascere, dalla felice matita dell’ufficio progettuale dei cantieri Riva, l’ “Ariston” il “Florida” ed il famoso ed indimenticabile “Aquarama”. Poi nasce il piccolo “Junior”, maneggevole e veloce, adatto allo sci nautico ed ideale come “tender” per i grossi panfi li come l’“Odysseia” di Elizabeth Taylor e Richard Burton, al quale seguirà “ Olympic” che chiuderà l’epopea dei motoscafi Riva in legno.

Il Ventesimo secolo è al giro di boa e si affaccia prepotente la vetroresina provocando una rivoluzione nella cantieristica navale. Lo stampo, dentro il quale si stratifica la vetroresina, consente costruzioni seriali e rapidità di esecuzione che, con il crescere del costo della manodopera, rappresenta certamente un fattore determinante per gli equilibri fi nanziari dei cantieri. E così si affacciano sul mercato due sobrie imbarcazioni, il “ Bahia Mar” ed il “25 fi sherman” , entrambi di derivazione americana ove il cantiere “Bertram” stava vivendo il suo migliore momento anche per le ripetute vittorie nelle competizioni motonautiche. Il “Bahia”, così confi denzialmente chiamato dagli estimatori era realizzato sulla struttura del Bertram 20, imbarcazione di poco più di sei metri, dotato di una piccola cabina prodiera, di una postazione di manovra ben protetta e di un discreto prendisole a poppavia.

Il “Fisherman” era invece realizzato sulla struttura del “ Bertram 25” ed era dotato di una zona coperta, per l’epoca, ampiamente vivibile, e disponeva di un proporzionato “flybridge” che consentiva di timonare l’imbarcazione da una posizione sopraelevata rispetto alla tradizionale, in ciò imitando i fisherman dai quali, appunto, mutuava il nome.

La strada è ormai segnata ed ai due piccoli cabinati ne seguiranno altri e prestigiosi come il “Riva 42” di poco meno di tredici metri di lunghezza, il “Riva 45” e poi il “48” ed il “Riva 50” che vanno tutti ad annoverarsi nella gamma dei cabinati di prestigio. La produzione non disdegna gli “open” e cioè quei cabinati privi di “fly bridge” e così nascono il “Riva 2000”, il “saint Tropez”, ed il “ Bravo”. Il design muta e con esso i gusti della clientela ai quali il cantiere di Sarnico si adegua e la penna dei progettisti disegnano il “Diable”, il “Black Corsair” e poi ancora “Opera” e “Dolcevita” ma forse la più bella creazione è rappresentata da Aquariva, reinterpretazione moderna di “Aquarama”: forse malcela il desiderio di voler tornare alle origini.

a cura di Roberto Magri

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