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Dietro le quinte del Don Carlo

Dietro le quinte del Don Carlo

I segreti della prima della Scala
Il 7 dicembre andrà in scena a La Scala di Milano la prima del Don Carlo, musicato da Verdi.

Presentato alla stampa con una conferenza nella sala gialla del teatro, il direttore Daniele Gatti e il regista scenografo Stéphane Braunschweig hanno raccontato i retroscena dell’opera più attesa di tutto il panorama lirico italiano e non solo.

Costumi d’epoca e un palco senza fronzoli racconteranno il dramma ispirato al poema inquieto Don Carlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller, riscritto e interpretato da Verdi nel 1867 per l’Opéra di Parigi in cinque atti e dal quale il Maestro emiliano ricavò, anni dopo, una versione in quattro atti.

L’opera, una delle partiture verdiane più monumentali, venne presentata alla Scala per la prima volta il 10 gennaio 1884 e rimase – lo è ancor oggi – la più frequentemente rappresentata anche se da tempo sembrava un titolo svanito nel nulla.

Il Don Carlo, da sempre, è caratterizzato dalla complessa messa in scena. Non ha bisogno, infatti, solo di sei grandi voci, di 18 comprimari e di un doppio coro, ma anche di interpreti e di un’orchestra preparati sia nel melodramma sia nel dramma in musica.

Innovativo l’approccio portato dal direttore meneghino Daniele Gatti, che grazie al rapporto privilegiato con l’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano, maturato grazie a costanti collaborazioni, è riuscito a riscrivere le regole dell’opera, cambiando la disposizione dei Professori d’Orchestra e investendo sulla collaborazione tra musicisti e cantanti.

Grazie a inusuali prove congiunte, fin dalla lettura, grande l’intesa e la capacità interpretativa degli strumenti e delle esigenze di tutti i componenti delle due compagnie canore presenti sul palcoscenico.

Leggerezza è la parola chiave utilizzata da Stéphane Braunschweig. Un allestimento essenziale – “faire plus avec moins” dice il regista francese – che vuole dare voce alla sensibilità e alla forza carnale del Don Carlo di Verdi perchè “tutto è scritto nella musica”.

Più di 160 persone passano per il palco, tanti i bambini fin dall’inizio della scena. Ai bellissimi costumi rinascimentali vengono affiancati gli abiti anni ’30 del coro del popolo, un rimando all’epoca franchista e all’approccio al potere. L’interpretazione di Braunschweig vuole essere una critica sottile e non urlata alla sottomissione del potere politico al potere religioso e all’idea del bello e buono solo dopo la morte.
Soprattutto, però, il regista mette in scena la musica e la linfa vitale che essa è per chi la interpreta e chi la respira.

Non ci resta che aspettare di vedere quel che succederà sul palco più elegante d’Italia. Di una cosa siamo certi: come ogni anno, La Scala saprà regalarci emozioni.

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