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Caratteri italiani

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Intervista a Silvio Antiga, anima della “Tipoteca Italiana fondazione”

In attesa dell’arrivo della Fiera del Libro antico, che si terrà a Milano dal 13 al 15 marzo 2009, Luxgallery.it ha il piacere di aprire le proprie pagine virtuali alla “Tipoteca Italiana fondazione”, esempio di realtà imprenditoriale tutta made in Italy dedicata a un mondo esclusivo di nicchia, quello della tipografia.

Come è noto, la stampa a caratteri mobili ha natali tedeschi, ma già a partire dal XVI secolo l’Italia, e in particolare Venezia, ha avuto i più precoci esempi di comunicazione stampata, grazie soprattutto alla stamperia del tipografo Aldo Manuzio. Per secoli l’officina del tipografo è stata uno dei cenacoli e delle “fornaci” a cui si rivolgevano artisti, letterati e poeti per la realizzazione di un prodotto prezioso qual è sempre stato il libro.

Sarà forse per il genius loci, ma non lontano da Venezia, fra le colline trevigiane e le ville del Palladio, alla fine degli anni Sessanta e in piena rivoluzione tecnologica, Silvio Antiga insieme ai suoi fratelli – Franco, Mario e Carlo – ha fondato l’azienda Arti Grafiche Antiga e, trent’anni dopo, il primo Museo del Carattere e della Tipografia.

Situata a Cornuda, Treviso, la Tipoteca risiede negli edifici dell’antico Canapificio Veneto “Antonini Ceresa”, interessante esempio di archeologia industriale, e nei locali dell’ex chiesa di Santa Teresa (1886). Oggi la Tipoteca è un luogo di raccolta di caratteri da stampa ma anche archivio, museo, officina di restauro e di stampa, laboratorio, biblioteca e spazio polifunzionale dedicato a rassegne e corsi didattici.

Luxgallery.it si è rivolta dunque al suo fondatore per farsi raccontare questa realtà imprenditoriale, felice esempio dell’intraprendenza del made in Italy e di chi coltiva un mestiere molto affascinante.

Come nasce la sua passione per la professione del tipografo?
Come ogni altra passione umana, la mia si è nutrita con il tempo grazie alla curiosità e alla frequentazione quotidiana. Riconosco che ho colto la magia della tipografia fin dal mio primo incontro con essa, che risale, ormai, a cinquant’anni fa: da quando cioè ho varcato per la prima volta la soglia di una tipografia. Ho iniziato nel 1960 il mio apprendistato di compositore presso una stamperia artigiana a Montebelluna, un paese in provincia a Treviso a pochi chilometri da dove sono nato e cresciuto. Come potete immaginare, questo mestiere così affascinante ha avuto vita facile nello stimolare la curiosità e la fantasia di un ragazzo di 14 anni, com’ero io. Direi proprio che le radici della mia passione per la tipografia sono nate allora: era un mestiere che, in pratica, si tramandava da più di cinque secoli e ho avuto la fortuna di conoscerlo e praticarlo, prima che arrivasse l’immateriale mondo della fotocomposizione. È come se io fossi uno degli ultimi testimoni di un’arte che, senza dubbio, fin dal suo nascere aveva in sé il lievito della “modernità” per le sorti dell’uomo, ma al tempo stesso ha incarnato quell’ideale di conoscenza dell’homo faber, in cui la creatività si materializza nel sapere e negli strumenti del suo lavoro.

Può spiegarci da dove deriva la sua passione per i caratteri?
La passione nasce da una sorta di affinità elettiva con questi segni davvero magici. Ogni carattere ha un suo carattere. È come se possedessero un’anima, un dna che, scusate il gioco di parole, è insito proprio nel loro carattere. Quando ho iniziato il mio lavoro in tipografia, i caratteri erano in piombo o in legno, pertanto esistevano fisicamente: si componevano prendendoli in mano a uno a uno. Erano belli ordinati nei banconi e nelle casse. Un po’ è come se mi parlassero: austeri, fantasiosi, nobili, aggraziati, corsivi, allungati, grotteschi… Ciascun carattere era quasi smanioso di esprimersi con la forza dell’inchiostro sulla carta e noi compositori eravamo chiamati a creare stampati a partire dalla loro espressività, senza che fossero “invadenti”. Di una buona tipografia si dice che debba essere invisibile, e questo vale soprattutto per i caratteri da testo. Nel caso dei manifesti, che allora erano importanti per la comunicazione visiva, ci prendevamo alcune libertà compositive, perché colpissero di più chi si fermava a leggerne i contenuti.

Da qui dunque l’idea del museo?
Sì, in un certo senso, l’idea del museo è partita da molto lontano. Dire con esattezza quando, mi risulta ancora difficile. Di sicuro, questa idea si è concretizzata per gradi. La data ufficiale di nascita della fondazione Tipoteca Italiana è il 21 giugno 1995. La fondazione l’ho creata, con la meritevole complicità dei miei fratelli Franco, Carlo e Mario, per promuovere la conoscenza della tipografia e del disegno dei caratteri, con particolare accento sulla produzione italiana. La Tipoteca nasce per amore del nostro mestiere e per un poco di incoscienza. Io, insieme ai miei fratelli, non immaginavamo certo, alle origini di questa avventura, di riuscire a raccogliere l’ingente patrimonio di archeologia industriale attualmente conservato nel Museo del Carattere e della Tipografia.

E invece…
Alla fine degli anni Ottanta, cessata da tempo la validità di produrre stampati tipograficamente, cominciai ad archiviare i nostri caratteri di legno e piombo, vecchi compagni di mestiere: per affezione nostalgica e per l’affascinante valenza artistica, anziché gettarli, come facevano le altre tipografie.
Mi venne allora l’idea di coinvolgere, inviando dapprima ai tipografi veneti e successivamente a tutti i tipografi italiani, una circolare, dove chiedevo di donare o cedere a costo da definirsi, caratteri, macchine, campionari, foto e documenti, per poter allestire un luogo dove depositare, per le generazioni future, gli strumenti e le esperienze artistiche e umane dei tipografi italiani. Fu così che su settemilatrecento tipografi contattati, oltre 1200 risposero, disponibili per un incontro.

E poi?
Per oltre dieci anni, ogni sabato e domenica, in tutte le ferie e tutto il tempo che riuscivo a rubare al lavoro, cominciarono i viaggi sui luoghi più disparati d’Italia. Centinaia e centinaia di viaggi da Ragusa a Biella, da Napoli a Trieste, da Aosta a Bari, in ogni provincia e mandamento tra buie cantine, gelidi e sporchi magazzini o torride soffitte. La Tipoteca è ora una realtà: conserva, restaura e promuove quello che si è salvato della storia della Tipografia Italiana. Stiamo ultimando ora un ulteriore ampliamento e abbiamo affidato a un importante studio la progettazione per rendere il percorso espositivo più consono alla comunicazione contemporanea. È previsto un ulteriore investimento per 1,5 milioni di euro a totale nostro carico: per amore e, come dicevo prima, forse per un poco di incoscienza.

Quali sono, se ci sono, dei pezzi a cui è più affezionato o ritiene rappresentino la “punta di diamante” del Museo?
La raccolta dei materiali conservati ed esposti al Museo è nata, come dicevo, per passione e in omaggio a un mestiere che mi ha dato molto sul piano umano e professionale. Nella vita di una tipografia fino agli anni ’70, il quotidiano era immerso e circondato da una miriade di oggetti. Era un mondo articolato per la natura stessa dei “ferri del mestiere” allora in uso: caratteri, banconi, margini, compositoi, inchiostri, torchi, tiraprove… Per me, è quasi impossibile dire quali sono i pezzi cui sono più affezionato per una ragione molto semplice: dietro ai caratteri e alle macchine che ho raccolto, ci sono i volti e le storie di uomini che li hanno usati. Ho incontrato decine e decine di tipografi, ho raccolto le loro testimonianze: è come se, affidandomi i loro strumenti, mi avessero anche passato il testimone di una memoria collettiva.

Una bella responsabilità…
Sento molto questo senso di responsabilità nei loro confronti ed è stato forse questo il sentimento che più mi ha guidato nella realizzazione del Museo. Poi, ricordo con molto piacere e affetto quei tipografi – e di conseguenza i materiali che mi hanno donato – che spontaneamente mi hanno cercato e mi hanno dimostrato nel tempo una nobiltà d’animo toccante e rara.

Può segnalarci qualche appuntamento interessante per gli amanti della calligrafia?
La Fondazione Tipoteca Italiana ha dato vita al Museo del carattere e della tipografia. Nei due universi del carattere e della tipografia, confluiscono tante discipline e conoscenze dell’uomo. Tra queste, vi è proprio la calligrafia, che viene oggi riscoperta e rivalutata, in virtù dell’incontro su vasta scala degli utenti dei computer con i caratteri digitali. La calligrafia ha un rapporto molto intimo con il type-design: per tale ragione, a partire da quest’anno, vogliamo proporre degli appuntamenti per gli appassionati di calligrafia, visto che in Italia abbiamo davvero eccellenti calligrafi. Proprio alla fine di marzo, nel weekend di sabato 28 e domenica 29, avrà luogo il primo di questi incontri con Luca Barcellona, un giovane e valente calligrafo milanese.

Dal carattere mobile al carattere… suo: quali sono le passioni di un tipografo, al di là della stampa?
Riconosco di avere un’innata passione per l’arte, soprattutto quella del Novecento. Come tipografo, ho conosciuto e lavorato con molti artisti e questi davvero hanno alimentato la mia creatività e il mio desiderio di eccellere in ciò che facevo. Ho una naturale devozione per i libri: tuttavia, la mia è una bibliofilia a uso collettivo, perché i libri che acquisto non li tengo per me, ma li lascio nella biblioteca della Fondazione. Riconosco di non avere uno spiccato senso della proprietà e questo mi ha davvero aiutato nel realizzare la Tipoteca.

Il libro che avrebbe voluto stampare per primo…
Sono un figlio del Novecento, pertanto avrei voluto che la mia tipografia fosse il punto d’incontro di artisti delle avanguardie. Avrei lavorato volentieri al loro fianco. Mi sarebbe piaciuto incontrare Fortunato Depero e Bruno Munari, per citare due italiani.

… e quello che non stamperebbe mai…
Qualsiasi libro che non abbia un bel carattere!